Repubblica 10.2.16
In altre parole
Meglio dire “bail in” o “salvataggio dall’interno”? “Stepchild” o “configlio”?
Secondo la Crusca bisogna tornare a usare l’italiano. A partire dai testi delle leggi e dal linguaggio della politica
di Raffaella De Santis
“Usare hot spot per i centri per i migranti è assurdo. Ricorda addirittura il porno”
L’anglismo più ricorrente sui giornali in questi giorni è stepchild adoption,
difficilissimo
da pronunciare. Poi è arrivato bail in, per indicare un salvataggio
delle banche dall’interno, coinvolgendo i contribuenti, e questo ha
fatto drizzare le antenne alla Crusca. Raggiunto il limite della
saturazione per eccesso di vocaboli inglesi incomprensibili, gli
accademici hanno deciso di intervenire.
La crociata degli
accademici suggerisce di cambiare, proprio mentre se ne sta discutendo
in parlamento, la locuzione inglese usata dal disegno di legge Cirinnà
che dovrebbe permettere alle coppie omosessuali l’adozione del figlio
naturale o adottivo del compagno. Ma quella sulla
stepchild
adoption è solo una delle proposte che i cruscanti vanno raccogliendo da
qualche mese. Nel loro mirino sono finite molte parole che ormai fanno
parte del vocabolario dei media, anche quando potremmo farne
tranquillamente a meno. Pensando alla sfilza di anglismi che hanno
affollato le nostre teste in questi mesi, c’è parecchio lavoro da fare:
dal family day al
jobs act, dalle varie authority alla terribile
spending review. Per non parlare della local tax, della bad bank e
dell’austerity, che in inglese suona ancora più severa.
Tutto
inizia un anno fa, in occasione di un convegno a Firenze nella sede
dell’Accademia della Crusca. Prima c’era stata però una campagna ideata
dalla pubblicitaria Annamaria Testa, diffusa sui social network con
l’hashtag #dilloinitaliano. La petizione aveva raccolto in poco tempo 70
mila firme. Quel giorno a Firenze, mentre si discuteva tra studiosi
italiani e internazionali di lingua e anglicismi, si decise di dar vita a
un gruppo che sorvegliasse l’arrivo dei giovani forestierismi
nell’italiano. Una specie di torre di guardia. Oggi quel gruppo è pronto
con una prima lista di vocaboli indesiderati. «Vogliamo strozzare il
bambino nella culla », spiega il linguista e filologo Luca Serianni. La
metafora è forte, ma contro il rischio di fraintendimenti il professore
chiarisce: «Ci interessa intervenire per arginare gli anglicismi
nascenti, quelli che non si sono ancora affermati e che vengono usati
nonostante siano poco chiari».
Ma veniamo agli esempi. Le parole
finite nel mirino dei cruscanti appartengono prevalentemente al discorso
pubblico, spesso non sono ancora registrate dai vocabolari. Per ognuna
di loro, gli accademici suggeriscono una possibile sostituzione. Molte
fanno parte del linguaggio economico, il più permeabile ai termini
anglosassoni. È il caso di bail in, al posto della quale il presidente
della Crusca Claudio Marazzini suggerisce di adottare “salvataggio
dall’interno”, meno di impatto ma chiaro. Così come non piace l’uso del
termine hot spot per riferirsi ai Centri di identificazione dei migranti
che entrano nella Ue. Qui la proposta latita, non è facile condensare
in breve. La linguista Valeria Della Valle ironizza: «Mi sembra ridicolo
usare l’inglese, e poi la parola ha già altre connessioni semantiche
che si sovrappongono in modo pericoloso al testo, può perfino far
pensare a qualcosa di porno... ». E rispetto all’obiezione che potrebbe
trattarsi di un eccessivo zelo purista, Della Valle spiega: «La nostra
finalità non è sostituire le parole inglesi che circolano nella lingua
italiana, ma solo quelle che creano un ostacolo tra cittadini e
istituzioni, soprattutto quando si parla di argomenti come medicina,
politica ed economia, nei quali sarebbe opportuno essere chiari ». E
proprio sulla cripticità di alcune espressioni mediche, Marazzini ha
ricordato quel francesismo assai poco trasparente che compare
nell’ingresso dei pronto soccorso: la parola
triage per indicare «il sistema di classificazione delle urgenze » (letteralmente significa “cernita”, “smistamento”).
Inutili
complicazioni, che sembrano scelte ad arte per non farci capire:
voluntary disclosure è tra le più fumose, definita dagli accademici “un
forestierismo crudo e oscuro”. Il termine esprime l’operazione con cui
si dichiarano al fisco capitali indebitamente detenuti all’estero: ma
quanti lo sanno? Il suggerimento è sostituirlo con “collaborazione
volontaria”. Mentre smart working dovrebbe cedere il passo a “lavoro
agile” e il
whistleblower, riportato in auge da Julian Assange,
farsi da parte per il bruttino “allertatore”, che sembra un ibrido tra
“informatore” e “allibratore”. “Spia” e “delatore” sono stati bocciati
perchè troppo negativi. Ma la trafila più articolata ha riguardato le
possibili sostituzioni di stepchild adoption, parola storpiata dagli
stessi politici durante la discussione parlamentari sulle unioni civili,
con pronunce creative ed esilaranti come step ciald association. Alla
fine ha vinto il neologismo “configlio” (con+figlio) ed è stata scartata
la letterale “adozione del figliastro”.
Gli anglicismi nel
lessico italiano sono il 4%, meno degli italianismi registrati
dall’Oxford Dictionary. Percentuale che diventa ancora più bassa nella
nostra lingua d‘uso, dove non raggiunge l’1%. «Tra le duemila parole più
frequenti, quelle anglosassoni saranno oggi una decina », spiega Tullio
De Mauro. De Mauro è accademico della Crusca, ma appare perplesso: «In
tutte le lingue si registrano ingressi di forestierismi. Nell’american
english e nel british molto più che nella nostra. Le lingue anglosassoni
sono molto aperte, sono ricche di vocaboli che arrivano dall’estero. È
chiaro, non sto difendendo l’uso del termine jobs act, ma non mi piace
questo ringhiare verso lo straniero. Abbiamo faticato molto a
defascistizzarci...». E proprio su questo aspetto delicato della nostra
storia, sul rischio che quella della Crusca possa apparire come una
battaglia vecchio stile di autarchia linguistica per difenderci dalle
contaminazioni straniere, interviene a chiarire Della Valle: «È arrivato
il momento di liberarci dal senso di colpa legato al fascismo che grava
sui linguisti. Fino ad oggi non ne avevamo il coraggio». Dunque,
possiamo dormire sonni tranquilli, il cachemire non diventerà
“casimiro”, come voleva il Duce, né si cercherà di introdurre “filmo” al
posto di film. Potremo continuare ad essere