Repubblica 10.2.16
Simonetta Agnello Hornby: “Mescoliamoci siamo tutti cittadini del mondo”
di Francesco Erbani
«Lo
dico con dolore, perché ho sempre creduto nella purezza di una lingua.
Ma farcire l’italiano, la mia lingua, di espressioni inglesi mi sembra
una imperdibile occasione per abbattere discriminazioni sociali».
Simonetta Agnello Hornby, palermitana, vive a Londra dal 1970 e ha
dimestichezza con il dialogo fra le lingue. Più nel parlato che nei suoi
romanzi. Una volta si trovò in imbarazzo dovendo trovare un
corrispettivo italiano per cravatta regimental.
Non ebbe
alternative e scrisse cravatta regimental. Eppure la sua esperienza di
avvocata a Brixton, quartiere a forte densità di immigrati,
specializzata nel diritto di famiglia e dell’infanzia, l’ha indotta a
rivedere il culto per l’intangibilità di una lingua. Convinta che anche
attraverso la farcitura passi una consapevolezza che garantisce
opportunità.
Com’è arrivata a queste conclusioni che contraddicono
le preoccupazioni della Crusca? «Prima delle conclusioni le direi da
dove sono partita».
Benissimo.
«Da ragazza parlavo siciliano
d’estate e italiano d’inverno. Tenendo distinte le due lingue. Allora
erano le parole francesi che minacciavano l’integrità di un lessico: bon
ton, pardon, bijoux.
Il francese lo conoscevo e lo usavo, ma italiano e siciliano restavano autosufficienti».
E questo regime linguistico lei ha rispettato anche nei romanzi?
«Mi
sono sforzata di rispettarlo. Se c’è una lingua, questa deve essere
pura. E la purezza è indice di razionalità e di identità. Gli italiani
sono pochi e non sono tantissimi quelli che vivono fuori dei confini
nazionali. Mantenere intatta la propria lingua, mi dicevo, è fonte di
orgoglio e di dignità».
E poi cos’è successo per farle cambiare idea?
«È
successo che ho visto quanto sia indispensabile possedere un’altra
lingua per sentirsi cittadini di un mondo che ora lo esige
perentoriamente. E quest’altra lingua è l’inglese».
Ma una cosa è possedere un’altra lingua, altra farcire la propria. O no?
«Certo.
Ma cominciare a possederla introducendone dei pezzi nella propria mi
sembra funzioni. Inoltre accanirsi per la purezza di un idioma mi pare
possa avere come effetto quello di marcare le differenze fra chi ha più
mezzi e chi non ce li ha. Ha un carattere di iniquità ».
Si sente l’eco di don Lorenzo Milani.
«L’ho
sperimentato qui a Londra, dove anche l’inglese ha perso la sua
purezza. I miei nipoti parlano un inglese che spesso non capisco, ma di
fronte al quale è inutile irrigidirsi. Qui arrivano tantissimi giovani
in cerca di lavoro. Chi usa una lingua già farcita di espressioni
inglesi è agevolato. Trova più facilmente lavoro, ha meno problemi ad
essere incluso in ogni ambiente. Bisogna accettare che questa specie di
esperanto che è l’inglese, una volta accettato anche in Cina, penetri
ovunque. Viviamo in un mondo duro, qualunque cosa serva ad aprire porte
ben venga, compreso contaminare la propria lingua. Sa che cosa mi
ricorda l’inglese di oggi?».
Che cosa?
«Mi ricorda il
latino. Una lingua universale che entrava in contatto con le altre. E
quando il contatto si prolungava, cambiava il latino e cambiavano le
altre lingue. Anche l’italiano nella sua storia è cambiato perché si è
mescolato con altre lingue».
Ma a lei ora piace mescolare?
«Ho settant’anni e non mi piace mescolare. Ma per i più giovani è tutta un’altra storia».