Repubblica 10.2.16
La dottrina diplomatica di papa Francesco
di Agostino Giovagnoli
DIPLOMAZIA
della misericordia. Un filo rosso unisce le aperture di Francesco alla
Cina all’incontro con il patriarca Kyril, l’ennesimo appello perché si
continui a negoziare in Siria alla celebrazione a Ciudad Juarez, al
confine con gli Stati Uniti, che concluderà la sua visita in Messico.
Questo papa ha un robusto pensiero geopolitico, come ha intuito fin
dall’inizio Lucio Caracciolo. Ora, però, c’è una novità. Francesco non
fa solo — per così dire — incontri storici o gesti memorabili: a
cominciare dal discorso al corpo diplomatico, non perde occasione per
esporre anche il suo pensiero sui rapporti internazionali. È una sorta
di nuova “dottrina diplomatica” quella che propone al mondo intero e, in
particolare, all’Occidente.
In un lungo articolo su “La
diplomazia di Francesco” pubblicato su “La Civiltà cattolica”, il suo
direttore, Antonio Spadaro, ha chiarito le radici religiose e teologiche
di questo pensiero, che ruota in gran parte intorno al termine
frontiere. «Non muri ma ponti», non si stanca di ripetere con parole che
rischiano di apparire retoriche mentre i muri resistono o tornano in
tante parti del mondo. Nei discorsi di Francesco, però, l’idea del ponte
trova nuova credibilità. Questo papa sembra infatti aver capito il vero
peso della parola frontiere — che i ponti devono attraversare — nel
mondo globalizzato. Diversamente da quanto abbiamo creduto davanti al
primo irrompere della globalizzazione, frontiere e confini continuano a
resistere, mentre mantengono un peso rilevante anche i territori che
essi definiscono. Non è la stessa cosa, infatti, essere nati da una
parte o dall’altra del filo spinato che separa il Messico dagli Stati
Uniti. Oggi, però, le frontiere non servono solo per trattenere i
sudditi sotto il potere del re ma anche per evitare l’ingresso di nuovi
cittadini, sono costruite sempre meno per tenere dentro e sempre più per
chiudere fuori. In questo senso i grandi flussi migratori costituiscono
oggi una chiave illuminante per capire la direzione della storia.
Paradossalmente, però, a blindare le frontiere concorre spesso anche chi
forte non è ma ha paura della propria debolezza, convinto in questo
modo di difendere la propria identità come avviene, in modi diversi, in
Europa orientale e occidentale. Sono l’etnicismo e il nazionalismo le
ideologie dei perdenti nel XXI secolo.
Ai leader occidentali,
Francesco ricorda gli errori compiuti cercando di estendere con la
guerra le proprie frontiere — in chiave coloniale o per “esportare la
democrazia” — e mostra loro come si può rispettare frontiere degli
altri, attraversandole non per dominare ma per aiutare, non per
escludere ma per includere. La logica della guerra fredda tanto radicata
in Occidente — ieri contro i comunisti, oggi contro la Russia, l’Islam o
la Cina — non è adatta al mondo multipolare. Non è chiaro come evolverà
il rapporto tra cattolici e ortodossi dopo l’incontro di Cuba, ma se
Kyril si è affrettato ad incontrare Francesco è perché nel prossimo
luglio è previsto a Creta il primo Concilio pan-ortodosso e il papa
costituisce oggi una sponda sicura per tutte le principali Chiese
ortodosse. Il futuro del Medio Oriente è oscuro, ma intanto respingere
la logica di chi vuole accogliere in Europa solo i cristiani significa
costruire un ponte verso i musulmani. Non sappiamo come si svilupperanno
i rapporti tra Santa Sede e Cina, ma le recenti parole del papa
“suonano bene” nelle orecchie di milioni di cinesi, come ha scritto il
quotidiano ufficioso di Pechino “Global times”.
Francesco può
contare su collaboratori di grande spessore, come il cardinale Parolin.
Ma anche tra i cattolici non mancano avversari della sua geopolitica:
sono tra quanti vorrebbero difendere le proprie frontiere con tutti i
mezzi. I maggiori oppositori della mano tesa alla Cina stanno ad Hong
Kong, una città che si sente parte dell’Occidente — anche se si parla
cantonese — e che vede ogni giorno aumentare il controllo di Pechino.
Tra i più contrari all’incontro con Kyril, dietro cui vedono l’ombra di
Putin, sono i cattolici dell’Ucraina e dei paesi dell’Europa orientale,
gli stessi che denunciano l’“invasione musulmana” dell’Europa. L’
episcopato statunitense è complessivamente freddo verso questo papa che
viene dal Sud del mondo. Tali opposizioni ad un papa estraneo a
ideologie identitarie o a logiche etnico-religiose mostrano che, anche
all’interno della grande internazionale costituita dalla Chiesa
cattolica — così l’ha definita Andrea Riccardi — molti sono rimasti ai
tempi in cui potere e territorio coincidevano, senza aver capito che la
generosità dell’apertura coincide con l’arma dell’influenza, una delle
più efficaci nel mondo contemporaneo. Finito questo pontificato,
tramonteranno anche questa iniziativa e questo pensiero? Cambiamenti
sono sempre possibili, ma i processi avviati sembrano davvero profondi.