Repubblica 1.2.16
I diritti dei figli
di Michela Marzano
ERANO
tutti convinti, sabato al Family Day, che riconoscere giuridicamente le
unioni civili significa distruggere la famiglia tradizionale e mettere
in pericolo i bambini.
ERANO tutti persuasi che la paternità e la
maternità sono sempre e solo biologiche. «I figli sono un dono»,
recitava uno degli slogan. «L’unico diritto dei figli è avere un papà e
una mamma», diceva un altro. Ma cos’è mai questa famiglia tradizionale?
Quali bambini sarebbero in pericolo?
Quando si parla di unioni
civili, la confusione e i malintesi sono molti. Non solo e non tanto
perché la legge in discussione in questi giorni in Parlamento ha come
unico scopo quello di riparare un’ingiustizia, ossia di permettere a
tutte e a tutti di condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri
indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, ma anche e
soprattutto perché la norma che riguarda direttamente i figli, ossia la
stepchild adoption (l’adozione coparentale) cerca solo di proteggere
tutte quelle bambine e tutti quei bambini che già esistono, già vivono
all’interno di famiglie omogenitoriali, già crescono e sono accuditi da
due uomini o da due donne. Sono quindi già parte della realtà. Solo che,
a differenza di tutti gli altri bimbi, non sono giuridicamente
protetti. Legati biologicamente solo a uno dei due genitori, ma
affettivamente a entrambi, questi bambini non hanno la certezza, qualora
dovesse accadere qualcosa al padre o alla madre naturale, di poter
continuare a vivere con l’altro genitore. Esattamente come non hanno il
diritto, in caso di separazione, di continuare a essere accuditi dal
compagno o dalla compagna del padre o della madre come accade invece ai
figli delle persone eterosessuali. Di cosa stiamo parlando, allora,
quando si parla dei diritti dei bambini?
È facile rispondere che i
genitori avrebbero dovuto pensarci prima. È facile ribattere che la
natura impone dei limiti e che i figli nascono sempre e solo da un uomo e
da una donna. È facile parlare di “bimbi comprati” e di “donne
sfruttate” facendo un corto-circuito tra famiglie omogenitoriali e
gestazione per altri. Lo sanno tutte queste persone che si scandalizzano
e scagliano la pietra che la stragrande maggioranza delle coppie che
hanno ricorso alla gestazione per altri sono eterosessuali e che, in
quel caso, la stepchild adoption è già possibile? Lo sanno che, una
volta nati, i bambini non possono essere considerati responsabili del
modo con cui sono venuti al mondo e pagare le eventuali colpe dei propri
genitori? Lo sanno che, ammesso e non concesso che la gestazione per
altri sia problematica dal punto di vista etico, tanti di questi bambini
non sono il frutto di questa pratica?
Ma forse la questione più
spinosa è un’altra. Visto che dietro l’enorme ostilità che si manifesta
ogniqualvolta si parli di famiglie omogenitoriali si nascondono non solo
i pregiudizi nei confronti dell’omosessualità, ma anche la tendenza a
ridurre la maternità e la paternità alla biologia, come se il legame
genetico si traducesse automaticamente nella capacità di essere padre o
madre. Mentre lo sappiamo ormai da tempo che la paternità e la maternità
sono dei ruoli, che una madre adottiva o un padre adottivo — che non
hanno quindi nessun legame biologico con i figli — sono i veri genitori,
e che non basta mettere al mondo un figlio per poi essere capace di
riconoscerlo e di amarlo, e quindi di diventare padre o madre. Certo,
nessuno nega che i figli siano un dono e non un diritto. È un dono, per
una donna, ritrovarsi incinta. Esattamente come è un dono raccogliere la
vita di quel figlio per evitare che cada nel vuoto del non senso, che è
poi una delle definizioni più belle della maternità che ci viene dalla
psicanalisi. È un dono diventare padre. Esattamente come è un dono
aiutare i figli a coniugare la legge con il desiderio, che è poi quello
che ci spiega ancora una volta la psicanalisi parlando della paternità.
Ma come ogni dono, c’è chi lo riceve senza merito e senza sforzo —
quante sono quelle coppie che diventano genitori per caso, solo perché è
successo, oppure che, decidendo di avere un figlio per riempire un
vuoto o realizzare un sogno, lo hanno subito, senza problemi e senza
attendere? — e c’è chi invece, indipendentemente dal proprio
orientamento sessuale visto che esistono anche tante coppie
eterosessuali sterili, deve lottare per anni, talvolta scontrandosi
contro il muro della realtà, talvolta inventandosi un modo per
strapparlo questo benedetto dono, e poi mostrarsi all’altezza degli
sforzi fatti. Avendo la consapevolezza che nessun bambino sceglie la
famiglia in cui si ritrova. E ha tutti i diritti, certo. Primo tra i
quali quello di essere accettato per quello che è, senza che i genitori
gli chiedano o gli impongano di essere altro. Ma questo è vero sempre.
Indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale dei propri
genitori.
I bambini hanno diritto all’amore e alla cura, alla
maternità e alla paternità. Ma amore, cura, maternità e paternità non
sono il frutto della biologia o della genetica. A meno che non si decida
di negare la paternità anche a quegli uomini eterosessuali sterili, i
cui figli nascono grazie a un dono di sperma, oppure la maternità anche a
quelle donne eterosessuali e sterili che adottano un bambino. Tutte le
persone che erano ieri al Family Day dovrebbero pensarci bene prima di
scagliarsi contro le famiglie diverse dalla loro, che esistono e che
hanno anche loro il diritto di essere riconosciute e protette. Facendo
così prova di un po’ più di misericordia. Non è d’altronde proprio la
misericordia, come ci ha ricordato Papa Francesco, il nome di Dio?