La Stampa 1.2.16
La piazza dura spinge anche il governo
di Federico Geremicca
Tutto
in sette giorni, da un sabato all’altro: l’Italia laica e l’Italia
cattolica hanno messo in piazza le rispettive richieste e consegnato a
partiti e Parlamento un rebus di difficilissima soluzione. Al di là
della prova di forza e della tradizionale querelle sulle presenze vere o
presunte, quel che le mobilitazioni hanno infatti confermato con
disarmante chiarezza è l’assoluta inconciliabilità delle rispettive
posizioni. Un problema non da poco: per il Parlamento, certo, ma anche
per il governo, chiamato direttamente in causa dal Family Day di sabato
scorso.
Per Matteo Renzi, infatti, non sarà semplicissimo riuscire
a tenere l’esecutivo al riparo dalle imminenti e prevedibili tensioni. I
problemi, per altro, non riguardano solo il rapporto con il partito di
Angelino Alfano, alleato di governo e assai critico verso il testo della
senatrice Cirinnà: a far suonare l’allarme nelle stanze di Palazzo
Chigi, infatti, è stata soprattutto la sfida lanciata direttamente al
premier proprio dalla piazza del Family Day (al momento del voto
ricorderemo chi sta con noi e chi invece no...).
Secondo alcuni
dei più stretti collaboratori del presidente del Consiglio, però,
l’eccessiva durezza degli slogan e delle richieste arrivate dal Circo
Massimo potrebbero - paradossalmente -. finire per semplificare percorso
e scelte del Pd. Infatti, di fronte a posizioni che chiudono ogni
spazio di trattativa, definendo «inaccettabile dall’inizio alla fine» il
testo in discussione, la scelta di tirar dritto diventa quasi
obbligata. E l’unico fattore nuovo che potrebbe davvero sparigliare i
giochi - e cioè un intervento chiaro e diretto di Papa Francesco - è al
momento considerato improbabile.
Ciò non significa, naturalmente,
che la via sia larga ed in discesa: ma i toni e gli umori che hanno
caratterizzato il Family Day potrebbero almeno permettere ai sostenitori
del testo in discussione di rilanciare nel campo cattolico l’accusa di
non cercare affatto una qualche forma di mediazione, ma di puntare
all’affossamento della legge. E questa è una ipotesi che il Pd (Palazzo
Chigi) non prende nemmeno in considerazione, come affermato già da
alcune settimane in qua.
Sia come sia, domani il Senato comincerà a
votare sulle pregiudiziali di costituzionalità del disegno di legge
Cirinnà e si inizierà a capire qualcosa di più sui reali rapporti di
forza e sulle effettive intenzioni dei due schieramenti in campo.
Palazzo Madama avvierà i suoi lavori, però, in assenza di Matteo Renzi,
che appunto domani volerà in Africa per una serie di incontri (politici e
di affari) in Nigeria, Ghana e Senegal. E al suo rientro - nel cuore
dell’ennesima settimana difficile - il premier sposterà la sua
attenzione su Milano, dove domenica andranno in scena le primarie del
centrosinistra per la scelta del candidato-sindaco.
Partita assai
importante, per il Pd e per Renzi stesso, che ha puntato tutte le sue
fiches su un candidato - Giuseppe Sala - certo eccentrico rispetto alla
storia dei democratici milanesi. E non è un caso che i toni si stiano di
molto alzando, fino ad assumere argomenti polemici (come il fantasma
del Partito della nazione) fino a ieri patrimonio esclusivo di certi
durissimi scontri nazionali... Del resto, il lotto degli sfidanti di
Sala - tutti dichiaratamente «più a sinistra» dell’uomo scelto da Renzi -
sembra fatto apposta per dar legittimità ad una simile polemica. E
anche se i sondaggi danno in testa l’ex commissario unico di Expò, il
premier non è tranquillo. I sondaggi, ripete infatti spesso, sono fatti
per esser cambiati: e non vorrebbe che fosse questa la sorte destinata
anche alle rilevazioni che per ora danno Giuseppe Sala quasi sicuro
vincitore della sfida di domenica 7 febbraio.