La Stampa TuttoLibri 6.2.16
La Rivoluzione francese? L’hanno fatta i Lumi
Dai diritti dell’uomo al Terrore, una storia “intellettuale” che riporta in primo piano il ruolo di filosofi e ideologi
di Massimiliano Panarari
Ci
sono questioni che infiammano gli studiosi. Una di queste, ça va sans
dire, riguarda la genesi e le «cause scatenanti» della Rivoluzione del
1789, il dibattito intorno alle quali è stato rilanciato da un
monumentale volume ora pubblicato anche in Italia.
La Rivoluzione francese. Una storia intellettuale dai Diritti dell’uomo a Robespierre
di
Jonathan Israel ha fatto esplodere in vari ambienti intellettuali una
discussione furibonda e accesissima. Lo storico dell’Institute for
Advanced Studies di Princeton propone infatti quello che, per molti
versi, rappresenta un cambio di paradigma interpretativo, con
l’obiettivo di rimettere al centro, in materia, la storia intellettuale e
delle idee rispetto alla lunga egemonia di quella sociale. Una via
alternativa (quarta assai più che terza…) tanto rispetto al nutrito
filone marxista del passato che al revisionismo neoliberale di François
Furet, e che configura una linea storiografica per la quale gli eventi
rivoluzionari discesero in linea retta dall’Illuminismo. E, così
facendo, in buona sostanza Israel individua nell’eredità dei Lumi il
cuore autentico (e il «nocciolo duro») dell’identità culturale
dell’Occidente, quel complesso di valori da mesi sotto attacco
ferocissimo, stretto nella morsa a tenaglia di un rifiuto che viene
dall’interno dei confini della nazione che l’ha partorito (il populismo
del Front national) e di un mostruoso rigetto omicida che arriva
dall’esterno, targato Isis e islamismo armato.
Analizzando nel
dettaglio (attraverso nuovi documenti e la disamina approfondita degli
Archives parlamentaires), e per centinaia di pagine, la battaglia
culturale tra le fazioni e le «correnti» della Rivoluzione, Israel
individua una filiazione diretta del suo lascito a partire dalle
elaborazioni del «partito» degli illuministi radicali (tesi che
caratterizza fortemente il suo lavoro da vari anni a questa parte).
Un’avanguardia autentica, secondo lo studioso (che colloca nelle élites
il motore fondamentale dei fatti rivoluzionari da cui venne scalzato
l’Antico regime), coincidente con la componente del «parti des
philosophes» (assai più che con l’ampia pattuglia di avvocati che finì
per detenere la leadership politica, ma non culturale) accomunata sotto
il profilo ideologico dal repubblicanesimo, da un anticlericalismo
inflessibile (fondato quasi sempre sull’adesione al materialismo), dalla
fiducia nell’empirismo e nella scienza e dalla strenua opposizione alla
ripartizione dell’Assemblea nazionale secondo i tre ordini o «stati».
Un’ala
giustappunto radicaleggiante dell’Illuminismo nella quale si
riconosceva un gruppo variegato di personalità che andava dal
«caposcuola» marchese di Condorcet (teorico della valenza democratica
dei sistemi elettorali, nonché alfiere dei diritti delle donne e
dell’emancipazione dei neri) al leader girondino Brissot, dall’idéologue
conte di Volney al deputato Kersaint, dal direttore del Mercure
national Robert al medico Lanthenas, dal giornalista (e «ghostwriter» di
Mirabeau) Chamfort fino all’americano Thomas Paine (anch’egli eletto
alla Convenzione) – gran parte dei quali ghigliottinati o imprigionati
dal Terrore.
Alla base della loro visione si trovava l’idea
dell’uguaglianza quale fondamento di un rinnovamento della politica,
delle istituzioni e delle relazioni tra gli individui che prendeva la
forma della nozione originalissima dei diritti umani fondamentali. Nel
libro di Israel siamo quindi marcatamente in presenza della concezione
per cui sono le idee a muovere la storia, camminando sulle gambe degli
uomini (e di varie donne che ebbero ruoli decisivi, dalle dame dei
salotti anticamere della Rivoluzione sino a Olympe de Gouges), e
circolando per mezzo del gran numero di pamphlet e giornali che, tra il
1787 e l’88, veicolarono una «nuova cultura politica».
Lo storico
ritiene imprescindibile riconoscere l’esistenza di un dualismo
costitutivo della Rivoluzione, in seno alla quale si confrontò
sostanzialmente una coppia di prospettive antitetiche. L’una contro
l’altra armate – la prima con le armi della critica e la seconda,
invece, con una sanguinosissima critica delle armi – si fronteggiarono
così la Rivoluzione della Ragione degli illuministi radicali e la
Rivoluzione della Volontà dei robespierristi (incarnatasi nel russovismo
giacobino istituzionalizzato nel dopo 1793 e di cui, insieme
all’«Incorruttibile», erano capi Marat, Saint-Just e Hébert). Ambedue
acerrime avversarie della terza anima – quella del moderatismo politico
ispirato alle dottrine di Montesquieu e Voltaire, tra liberalismo
monarchico e fascinazione per il «modello inglese» – ma orientate da
visioni inconciliabili, che assumevano anche le forme del cosmopolitismo
del parti de philosophie e del patriottismo xenofobo dei montagnardi.
Insomma, secondo Israel, a dominare la scena rivoluzionaria fu il
duello, mortale, tra l’Illuminismo radicale e il populismo dispotico.
Echi di futuro…