La Stampa 8.2.16
“Il governo racconta solo bugie
Quello di Regeni è un omicidio di Stato”
Colleghi e conoscenti: il regime sta perdendo il controllo
di Francesca Paci
«Proviamo
a fare ordine, le ipotesi “governative” sulla morte di Giulio non sono
molte ma tutte creative. Escludendo l’incidente di strada a cui qui non
hanno creduto neppure i media di regime, restano i terroristi, che però
stranamente per la prima volta non rivendicano; la pista criminale, che
però dovrebbe spiegare come si fa a rapire un ragazzo nel centro del
Cairo quando per strada ci sono solo poliziotti. E per rubare poi cosa?
Giulio aveva con sé solo il telefono di scarso valore su cui aveva
appena ricevuto l’sms della fidanzata da Kiev, “take care babe”. Infine,
e già se ne mormora, ci sono gli islamisti, Fratelli Musulmani o chi
per loro, quelli interessati a mettere in cattiva luce il governo che
quindi avrebbero “confezionato” il cadavere con il marchio delle
torture. Ah già, c’è anche Israele, geloso dei nostri affari energetici
con l’Italia, ne accennava sabato Adel El Sehnory sul giornale Youm7.
Balle, qui non la beve nessuno: quello di Giulio Regeni è un omicidio di
Stato». A parlare è un amico, uno di quelli che ancora risponde. Altri,
per paura o per rispetto del giovane, tacciono a meno che non sia
necessario. Come Noura Wahby che ieri, per smentire le voci di una festa
il 25 sera a cui in realtà la vittima avrebbe partecipato, ha tagliato
corto: Giulio non è mai arrivato dove lo aspettavano.
Una fonte
vicina alle forze di sicurezza ci suggerisce che qualcosa possa essere
stato filmato dalle telecamere sotto la metro e allude a una persona che
forse potrebbe essere stata ripresa in compagnia del ragazzo. Di nuovo
il suggerimento di una situazione «terza», la festa, il sit-in, la
compagnia di qualcuno. Gli amici e i colleghi di Giulio al Cairo fanno
spallucce, non credono neppure alla storia della retata perché «quel
giorno non ci sono stati arresti, nessuna famiglia ha denunciato persone
scomparse». Restano invece convinti della responsabilità del governo:
si tratti di una squadraccia di poliziotti alla cilena, della
«sicurezza» a caccia di potenziali spie oppure di quello che in Egitto
viene chiamato «deep State», l’apparato del regime inossidabile a
rivoluzioni e controrivoluzioni che già da tempo avrebbe aperto le
ostilità contro il presidente Sisi, reo di non far ripartire il Paese e
spingerlo invece sull’orlo di nuove proteste di piazza.
Di certo
c’è che le forze di sicurezza sono arrivate assai nervose al 25 gennaio,
data dell’ultima traccia di Giulio. Prova ne sia il racconto di Doha
Hazem il cui marito, l’ingegnere e attivista Ayman Abdelmeguid, è stato
prelevato da casa il 28 dicembre scorso ed è ancora detenuto con
l’accusa di «incoraggiare la gente alla protesta»: «Hanno suonato
accompagnati dal portiere, era l’una di notte, non avevano neppure la
divisa, hanno portato via Ayman con il pc, due telefonini e l’ipad. Sono
riuscita ad andare con loro così com’ero, in pigiama, mi sono
trascinata dietro nostra figlia di 10 anni, se non fossimo andate al
commissariato Ayman sarebbe sparito come tanti, come Giulio Regeni. Da
quel momento è agli arresti senza alcun capo d’imputazione, l’ho visto
una sola volta, lo spostano di carcere in carcere, è stato anche in
quello della “sicurezza” nel deserto sulla strada per Alessandria. Il
regime sta perdendo il controllo, il povero Giulio è finito in una cosa
più grande».