lunedì 8 febbraio 2016

La Stampa 8.2.16
Il petrolio iraniano arriva in Europa
Negli Usa produttori low cost in crisi
Teheran: “Esporteremo 300 mila barili al giorno, presto un incontro con Eni”
di Luigi Grassia

L’Iran ha fretta di tornare da protagonista sul mercato internazionale del petrolio e annuncia che presto invierà in Europa 300 mila barili al giorno, pari al 54% di quanto esportava prima delle sanzioni. Per metà di questo greggio in arrivo i tempi sarebbero (si dice) strettissimi: l’agenzia Bloomberg cita il ministro iraniano del Petrolio Bijan Namdar Zanganeh secondo cui la francese Total vorrebbe comprare 160.000 barili al giorno già dal 16 febbraio. Invece non è stato ancora firmato un accordo con il gruppo italiano Eni, dice Zanganeh, aggiungendo però che «funzionari italiani sono attesi presto a Teheran per firmare l’acquisto di 100 mila barili al giorno». Anche l’italiana Saras - prosegue la Bloomberg - è interessata a ricevere 60-70 mila barili al giorno.
In realtà è possibile che gli iraniani gettino il cuore oltre l’ostacolo. Dalla Saras rispondono con il classico «no comment». E dall’Eni non trova conferme l’intenzione di acquisire nuovo greggio.
E qui va sottolineato l’aggettivo «nuovo». Infatti sono in corso trattative fra Eni e Teheran per il recupero di vecchi crediti italiani rimasti bloccati dal tempo delle sanzioni. Si tratta di 800 milioni di dollari, riguardo ai quali si sta negoziando una restituzione in forma di barili di petrolio anziché in denaro. Questo sarebbe propedeutico a riallacciare i rapporti d’affari. Però non si tratterebbe, al momento, di un contratto d’importazione di «nuovo» petrolio.
Prima che l’Iran torni con forza sul mercato internazionale dovranno realizzarsi varie condizioni. La filiera produttiva di Teheran si è molto logorata nei decenni delle sanzioni, che hanno riguardato anche le tecnologie estrattive. Gli analisti valutano in 100-150 miliardi la necessità di capitale da parte iraniana per riammodernare le strutture. Però Teheran non ha questi soldi e a livello globale gli investimenti vengono tagliati, non aumentati; è difficile che un grosso rivolo di denaro si incanali verso l’Iran a questo scopo.
Se gli investimenti nel petrolio vengono tagliati è perché il barile vale poco e non remunera le spese. La stessa Arabia Saudita, il gigante del greggio, è costretta a indebitarsi sui mercati finanziari internazionali per tappare il buchi del bilancio pubblico, e progetta pure di privatizzare la compagnia di Stato Aramco per fare cassa. L’afflusso di nuovo petrolio iraniano abbasserebbe ancora il prezzo internazionale del barile.
Tuttavia il 2016 potrebbe volgere in senso contrario. L’Opec e i produttori esterni all’organizzazione, come la Russia, stanno sondando la possibilità di tagliare ognuno la produzione del 5% per eliminare l’attuale surplus di 2 milioni di barili al giorno. L’esperienza consiglia di non credere troppo a questi accordi, facilmente elusi, ma il mini-rimbalzo del petrolio nei giorni scorsi è stato dovuto proprio a questa prospettiva.
La stessa Opec valuta che quest’anno il surplus possa azzerarsi perché la domanda di petrolio crescerà di 1,3 milioni di barili al giorno mentre la produzione non-Opec calerà di 600 mila barili. A spese di chi? La società di servizi Baker Hughes, che monitora i produttori di greggio alternativo, segnala che da quando è cominciato il crollo delle quotazioni del greggio il numero di torri di «shale oil» negli Stati Uniti è caduto da più di 1600 a 547. Tutti i produttori alternativi americani, nessuno escluso, sono tecnicamente in bancarotta da parecchi mesi. Solo nella scorsa settimana sono state chiuse 48 torri. A questo ritmo, entro la primavera non ce ne saranno più.