La Stampa 6.2.16
Pressing Ue sulla Turchia: “Basta assediare i curdi”
Nella
provincia di Dyarbakir in migliaia vivono in condizioni “disumane” I
ministri degli Esteri europei: Ankara usi subito e bene i 3 miliardi di
aiuti
di Marco Zatterin
«La linea è di essere
gentili, ma determinati», assicura un diplomatico olandese. Così è stato
già ieri sera, quando è scattato il pressing dei ministri degli Esteri
Ue sul collega turco, Mevlut Cavusoglu. Sui migranti e oltre. A margine
della cena organizzata dalla presidenza di turno nella vecchia sede
della Compagnia delle Indie occidentali, gli europei hanno cominciato
col «sensibilizzare» il messo di Erdogan su quanto accade nella regione
di Diyarbakir, dove migliaia di curdi sono sotto assedio in condizioni
considerate «disumane». Poi si è passati ai rifugiati. Ora che l’Ue ha
sbloccato i 3 miliardi per i progetti di accoglienza in Anatolia, i
Ventotto chiedono ad Ankara di fare la sua parte, frenando i flussi e
bloccando, possibilmente subito, i trafficanti.
La fase due
Si
vuole passare alla fase due. Dal vertice novembrino di La Valletta, ci
sono voluti quasi tre mesi perché i governi di casa Ue chiudessero
l’intesa sui soldi per aiutare i turchi a tenere i rifugiati in casa. Il
dossier è stato rallentato dalla riserva italiana sull’origine dei
fondi, anche se 250 milioni erano già disponibili e la Commissione, che
tiene il cordone della borsa, faticava a spenderli. Il denaro deve far
sì che le genti in fuga dalla guerra in Siria si fermino prima di
imbarcarsi alla volta della Grecia. L’esecutivo Ue ritiene che gli
sforzi di Ankara «non siano sufficienti». Lo prova il fatto che, in
gennaio, sono passate in Grecia, 45 mila persone.
«Noi siamo
pronti», assicura Johannes Hahn, commissario Ue per l’Allargamento.
L’austriaco spiega che «per metà mese» vorrebbe i piani di fattibilità,
ma ammette che «la palla non è nostra». «Sono giorni che li invitiamo a
muoversi», insiste una fonte olandese, che invoca un lavoro concreto sui
campi e sulle condizioni di ospitalità. «Ho ripetuto il messaggio a
Roma e a Londra», spiega il ministro Paolo Gentiloni: «Il punto, che non
riguarda solo i turchi, è definire una politica comune delle migrazioni
all’altezza della sfida».
Più fonti rivelano che stamane, nel
dibattito allargato coi candidati all’adesione, continuerà il discorso
della sera. «Devono definire i piani che l’Europa possa finanziare e
mettere in atto efficaci controlli sui trafficanti», concede una fonte
Ue, convinta che «il racket possa essere colpito in modo efficace e in
tempi non lunghi se le autorità turche vorranno». Per i Ventotto è
ineludibile. Solo fermando i flussi si può curare il male interno che la
crisi ha provocato nell’Ue.
L’irritazione dei turchi
I
turchi trovano tutto questo irritante. Anzitutto negano ogni
comportamento illegittimo coi curdi di Diyarbakir, dicono di aver messo a
disposizione dei feriti i mezzi necessari e rifiutano di accettare che
ci sia stato un coprifuoco. Quanto ai migranti, una fonte diplomatica si
difende ricordando che sono stati facilitati i permessi di lavoro per i
siriani e reintrodotti i visti per chi arriva dal confine orientale in
fuga da Isis e Assad: «Il numero degli ingressi è crollato». Questo è
coerente con l’allarme sul numero di profughi schiacciati oltre
frontiera. «Quarantamila in fuga dai raid russi», secondo Al Jazeera.
Forse 50 mila.
Gli europei vogliono una verifica politica e
fattuale. «Tutti devono rispettare gli impegni presi», sentenzia il
ministro olandese Koenders. «Occorre determinazione e chiarezza», punta
il dito un diplomatico tedesco. È il minimo, con l’aria che tira nel suo
Paese. La frenata del flusso dei migranti serve a proteggere il governo
a Berlino, come a cercare di evitare il prolungamento dei costosi
controlli alle frontiere interne.
Serve anche a salvare Schengen.
Non a caso la cancelliera Angela Merkel sarà ad Ankara lunedì. Visto il
contesto, non sarà una visita di cortesia.