La Stampa 6.2.16
Aleppo, la fuga dei 50 mila disperati
Ma Ankara sigilla la frontiera
La
città del Nord circondata dall’esercito di Assad e dai suoi alleati
sciiti Intanto nella zona di Idlib Hezbollah guadagna terreno grazie ai
raid russi
di Giordano Stabile
Ci sono altri
cinquantamila profughi che bussano alle porte della Turchia. Sono
uomini, donne e bambini in fuga dai villaggi a nord di Aleppo, la
metropoli siriana in mano alle forze ribelli ora circondata
dall’esercito governativo e i suoi alleati sciiti. Sono in fuga dalla
battaglia e dai raid russi che hanno spianato la strada all’avanzata
delle forze di Damasco. La porta, ieri sera, era ancora chiusa. E i
profughi si ammassavano sul valico più vicino, quello dal nome arabo di
Bab al-Salama, ironicamente la «Porta della pace», a meno di cinquanta
chilometri dalla città in fiamme.
Erdogan contro Mosca
I
profughi hanno chiesto tutto il giorno alle guardie di frontiera di
essere lasciati entrare: «Abbiamo lasciato le nostre case per le bombe
russe, per gli sciiti che avanzano, per gli iraniani, Erdogan deve
lasciarci entrare in Turchia». Il premier Ahmet Davutoglu ha promesso
che «nessuno sarà lasciato senza riparo». Ma la questione è anche
politica e il presidente Recep Tayyip Erdogan ha avvertito: «I nostri
amici europei vogliono che noi fermiamo il flusso di rifugiati. Ma c’è
un’altra scelta per i civili di Aleppo se non quella di scappare quando
sono sotto i pesanti raid della Russia?».
L’avanzata di Hezbollah
Erdogan
ha poi definito «ridicole» le accuse della Difesa russa di stare
preparando un’operazione di terra nel Nord della Siria e accusato a sua
volta Mosca di «aver già invaso» il Paese. La Ong turca Humanitarian
Relief Foundation stima in cinquantamila le persone ammassate ai posti
di frontiera e ha cominciato a costruire nuovi campi provvisori dal lato
siriano. Più a sud, nel «rif», la campagna di Aleppo, l’iniziativa è
ancora nelle mani dei governativi, nonostante un tentativo di
controffensiva lanciato dagli uomini di Jabat al-Nusra, la branca
siriana di Al Qaeda. È l’Hezbollah libanese ad andare all’attacco: dopo
la riconquista dei villaggi sciiti di Al-Zahraa e Nubbol di martedì,
ieri è toccato ad altre località a nord della metropoli di due milioni
di abitanti. Ieri è stata la volta della riconquista di Ratyan,
riportata dalla tv Al-Manar, vicina agli sciiti libanesi, come «l’ultima
schiacciante vittoria».
«Accerchiati»
A opporsi a
Hezbollah, oltre agli islamisti di Al-Nusra che compongono il grosso
delle forze ribelli, ci sono gruppi islamici relativamente più moderati
come Ahrar al-Sham e anche «laici» come la Liwa Suqur al-Jabal, parte
del Free Syrian Army. Il suo comandante, Hassan Haj Ali, ha ammesso che
per loro la situazione è disperata: «I raid continuano giorno e notte,
ci sono stati oltre 250 bombardamenti in un giorno. Ora le forze del
regime stanno cercando di allargare la zona sotto il loro controllo. Il
rif è circondato. La situazione umanitaria terribile».
La fretta dei russi
Secondo
i ribelli, gli Hezbollah sono aiutati da consiglieri militari dei
Pasdaran iraniani e rivendicano l’uccisione di «un generale». Sul campo
ci sarebbero anche sciiti iracheni, delle milizie che hanno combattuto
l’Isis a Tikrit e Samarra in Iraq. Lo spiegamento di forze massiccio
viene letto anche alla luce della «fretta» di Vladimir Putin di cogliere
la vittoria ad Aleppo. Per negoziare poi da una posizione di forza e
per placare i malumori nelle forze armate russe che giudicano «lenti» i
progressi dell’esercito siriano, nonostante quattro mesi di
bombardamenti che hanno sconvolto le linee di rifornimento dei ribelli,
distrutto le loro postazioni fortificate e gran parte dell’artiglieria.
Prossimo obiettivo Idlib
Ma
se la presa di Aleppo sarebbe un «trofeo» per Putin, e un rovescio
senza precedenti per gli insorti, per Bashar al-Assad sarebbe ancora più
importante quella di Idlib. In realtà la manovra a tenaglia attorno ad
Aleppo ha anche tagliato la principale via di rifornimento dei ribelli
nella provincia nord-occidentale, posta fra la roccaforte alawita di
Latakia, dove c’è la principale base aerea russa, e la Turchia. Dallo
scorso aprile Idlib è la capitale dell’emirato di Al-Nusra, l’Al Qaeda
siriana.
Senza carburante
Secondo fonti vicine al governo di
Damasco, come Risa al-Basha, analista di Al-Mayadeen News, lo scopo
della «tenaglia» a Nord di Aleppo era anche quello di tagliare le vie di
rifornimento verso Idlib: «È la priorità per l’esercito siriano:
isolare Idlib e poi riprenderla». Secondo le fonti, fra le zone sotto il
controllo di Al-Nusra a Idlib e quelle sotto il controllo dell’Isis
nell’Est della Siria «c’era un intenso scambio: da Idlib fornivano cibo,
da Raqqa e Deir ez-Zor petrolio» (i gruppi islamisti concorrenti di
Al-Nusra e dell’Isis un po’ si combattono, un po’ sono alleati). Ora
l’esercito punta allo snodo di Bab al-Hawa. Conquistarlo significherebbe
il «game over» per le forze ribelli a Idlib. E la messa in sicurezza
del regime, a meno di un intervento turco.