La Stampa 5.2.16
Il partito unico della casa
di Mattia Feltri
«Consegneremo
trentamila alloggi popolari», disse Gianni Alemanno nella campagna
elettorale che lo avrebbe condotto al Campidoglio. Era dentro una grande
tradizione che nella Prima repubblica era un meccanismo d’orologio,
quando gli Iacp, istituti autonomi case popolari, appaltavano la
costruzione degli appartamenti e li assegnavano. Si faceva welfare, si
guadagnavano e si vincolavano i consensi, si raccattavano mazzette, e i
partiti si contendevano gli Iacp con conseguente ferocia. Quella forza
oggi i partiti non l’hanno più ma dimostrano lo stesso fiuto, e fanno
ciò che possono: aiutano gli indigenti e curano l’elettorato a costo di
perderci cento milioni l’anno solo a Roma, secondo le notizie di questi
giorni (ma già lo scorso febbraio e nell’indifferenza generale Riccardo
Magi, ora segretario di radicali italiani, calcolava il danno in 111
milioni).
Roma poi è un mondo a parte, sulle eterne emergenze
abitative si sono costruiti mestieri e carriere, sono nate associazioni
in bilico perenne fra l’istituzionale, il volontariato e l’illegale,
tanto è vero che un consigliere comunale di estrema sinistra, Nunzio
D’Erme, finì a processo perché nel 2003 aveva occupato parte di un
palazzo di piazza del Parlamento di proprietà dei conti Vaselli (e fu
poi assolto). D’Erme era in collegamento stretto con Action la cui
dichiarata ragione sociale è di occupare case e darle ai bisognosi,
sebbene poi qualche bisognoso abbia raccontato che il diritto al
domicilio si guadagnava partecipando ai cortei, sennò arrivederci. I
gruppi tipo Action sono tantissimi, ci sono i Blocchi precari
metropolitani, il Coordinamento cittadino lotta per la casa, alcuni sono
stati accusati di aver assegnato a proprio giudizio, o capriccio, case
popolari col comune silente e consenziente. Pure a destra c’è fervore:
Occupazioni a scopo abitativo, Nuclei d’azione casa, naturalmente Casa
Pound che è stata recentemente lodata in una nota del ministero
dell’Interno per «il primario impegno a tutela delle fasce deboli
attraverso (...) l’occupazione di immobili in disuso». L’elogio del
reato a scopo sociale rende l’idea. Come ha detto ieri l’ex sindaco
Francesco Rutelli, a Roma ci sono cento palazzi occupati. Quanti bambini
ci saranno dentro? E quante donne incinte? E vecchi? Chi li vuole
sgombrare, si accomodi.