La Stampa 28.2.16
Giustizia, una riforma forte e totale
di Vladimiro Zagrebelsky
Di
riforma della giustizia si parla ogni volta che si procede a piccoli o
meno piccoli ritocchi. Di fronte ai difetti dell’attuale sistema di
giustizia, è necessaria però un’ampia riflessione per una vera
prospettiva riformatrice. Il tradizionale apparato concettuale non è
l’unico possibile ed è ora sfasato rispetto a una realtà che è cambiata e
di cui va considerata la direzione. In crisi sono la giustizia
ordinaria, quella amministrativa e la loro interazione. Alcuni primi
appunti possono servire a una discussione, utile a identificare un’idea
di fondo, che dia coerenza a un percorso per tappe senza continui
ritocchi e andirivieni legislativi.
Senza rincorsa a messaggi
urgenti da lanciare all’opinione pubblica, senza l’illusione di trovar
tutti d’accordo, occorre il concorso di opinioni fondate sull’esperienza
di magistrati e avvocati, insieme all’elaborazione degli studiosi,
preliminare alle scelte del legislatore. Senza tralasciare ciò che di
buono può esser tratto da quei modelli europei, che si dimostrano meno
carichi di problemi.
L’eccessiva lunghezza dei processi civili,
penali e amministrativi, vista in rapporto alla realtà odierna, perde il
carattere di difetto organizzativo, per rivelarsi debolezza
strutturale. L’accelerazione della dinamica economica e sociale non
sopporta più l’esasperante lentezza e l’incertezza del diritto. Il gran
tempo che passa impone l’ampio ricorso a misure urgenti e provvisorie.
Si tratta di misure cautelari, patrimoniali o personali nel corso di un
processo penale destinato a trascinarsi per anni e magari estinguersi
per prescrizione; di misure urgenti ma provvisorie e poi magari
destinate alla revoca, nelle procedure civili; di sospensive di atti
amministrativi oggetto di ricorsi al giudice amministrativo. Le misure
urgenti e provvisorie hanno un effetto devastante quando diventano il
principale strumento di impatto rapido ed efficace, non in vista, ma
sostanzialmente in luogo della sentenza definitiva. La precarietà e
l’incertezza paralizzano l’azione di cittadini, imprese, amministrazioni
pubbliche. Piccoli aggiustamenti o miglioramenti organizzativi non sono
più sufficienti, senza la riduzione dei ricorsi ai giudici e delle
impugnazioni e la drastica semplificazione delle procedure. Il primo
risultato si ottiene rendendo obbligatorie ed efficaci le vie di tipo
conciliativo o di mediazione. Esse non sono nella tradizione italiana,
che preferisce la litigiosità giudiziaria, ma sono indispensabili.
L’avvocatura può dare in proposito l’indispensabile apporto. La
semplificazione delle procedure, rese flessibili secondo la valutazione
del giudice, è un’altra esigenza ineludibile in vista di ciò che conta:
il contraddittorio tra le parti, garantito e regolato dal giudice.
Vi
sono troppe oscillazioni della giurisprudenza; in quella dei singoli
giudici e persino in quella della Corte di Cassazione. Quest’ultima, per
l’enorme numero di ricorsi che la investono ed anche per il conseguente
gran numero di magistrati che la compongono, ha difficoltà ad
assicurare una ragionevole stabilità, conoscibilità, generalità
dell’applicazione della legge. L’esorbitante numero degli avvocati
ammessi a difendere in Cassazione è un aspetto rilevante del problema
del numero e della qualità dei ricorsi. La costante qualità
professionale dell’avvocatura concorre a garantire quella giudiziaria.
Le oscillazioni della giurisprudenza sono uno dei motivi dei troppi
ricorsi; la certezza della giurisprudenza ha un forte effetto
deflattivo. Naturalmente una ragione importante dell’instabilità della
giurisprudenza discende dalle continue modifiche legislative, spesso di
pessima qualità, e dai frequenti compromessi che rinviano alla fase
applicativa ciò che il Parlamento non è riuscito a sciogliere.
Troppo
scarsa è poi la presa della giurisprudenza della Cassazione sulla
pratica quotidiana dei giudici di merito. Occorre ora pensare a misure
che assicurino la rapidità del formarsi della giurisprudenza della
Cassazione e la sua incidenza su quella dei giudici di merito. Si tratta
di un’esigenza dell’equo processo, come inteso a livello europeo e
preteso dai principi dello Stato di diritto.
Nessuna riforma della
giustizia, può evitare di intervenire sulla magistratura. Sarebbe ora
di prendere atto del mutamento profondo di un dato che ancora, contro
l’evidenza, si ritiene reale e necessario. L’attuale assetto della
magistratura (reclutamento, destinazione alle varie funzioni,
valutazione di professionalità) ancora suppone che il giudice sia il
puro e semplice applicatore della legge. Sempre più al giudice è
richiesto di effettuare valutazioni svincolate da criteri legislativi
precisi. Un esempio, ma non il solo, è il criterio dell’interesse del
bambino nelle cause di famiglia, espressione della tendenza non solo
italiana a dar spazio alla ricerca dell’adeguatezza della soluzione
giudiziaria rispetto al caso concreto. La legge, per natura generale e
astratta, in molti campi si rivela da sola inidonea, senza un ampio
spazio di valutazione del giudice. E l’interazione tra leggi nazionali e
norme europee o internazionali apre spesso largo margine alle
valutazioni in concreto. Certo il ruolo giocato dal giudice nella
decisione è diverso per entità e natura nei vari campi del diritto. Le
richieste di professionalità, cultura, esperienza sono distinte, così
che l’idea stessa dell’unità indifferenziata della magistratura merita
ripensamento alla luce della necessità di specializzazione. In questo
senso è un brutto segnale la decisione di abolire i Tribunali per i
Minorenni e di confonderne le competenze nel Tribunale ordinario. In
molti campi, l’accettabilità sociale delle decisioni e il rispetto che
richiedono non possono più legarsi all’indiscutibile autorità della
legge: accettabilità e rispetto dipendono invece dalla riconosciuta
autorevolezza di chi l’applica. Ma si tratta di tema che implica un
profondo ripensamento dell’attuale ordinamento.