La Stampa 28.2.16
La grande paura del Pd nella Capitale per il candidato 5S che piace alla destra
Sfiorito l’entusiamo per le primarie, non si parla di programmi
Oggi il primo duello televisivo tra i favoriti Giachetti-Morassut
di Fabio Martini
Quella
di Matteo Orfini, presidente del Pd - e romano di nascita - è qualcosa
in più di una battuta: «Faccio di tutto per farli litigare...». Un
auspicio paradossale, caduto nel vuoto: i due candidati a sindaco del Pd
non ne vogliono sapere. Se è vero che sulla “ruota” di Roma il
presidente del Consiglio si gioca una fetta del suo futuro, è
altrettanto vero che finora Roberto Giachetti e Roberto Morassut hanno
scelto di nascondersi. Dicono il contrario ma puntano su Primarie (si
vota il 6 marzo) nelle quali votino soltanto i soliti “noti”, quadri di
partito, loro “clienti” e spruzzate di elettorato di opinione. Una
strategia alla camomilla che Paolo Cento di Sel sintetizza plasticamente
(«Le Primarie del Pd sono pallose»), ma che trova conferma in un
episodio consumatosi dietro le quinte. Orfini ha confidato agli sfidanti
di essere indisponibile a gonfiare i numeri dei partecipanti alle
Primarie e ha proposto di tenere aperti i seggi della consultazione
oltre alla domenica, anche il sabato. I due Roberto hanno risposto
all’unisono: «Non se ne parla».
Giachetti (che Renzi ha quasi
costretto a candidarsi ed è sostenuto dalla nomenclatura Pd al gran
completo) e Morassut (renziano di rito veltroniano, appoggiato da quel
che resta della vecchia base Pci-Ds) si confronteranno per la prima
volta oggi pomeriggio nel salotto televisivo di Lucia Annunziata su
RaiTre: entrambi dicono che il risultato delle Primarie è incerto, ma
entrambi non fanno nulla per invertire un destino che non sembra
dispiacere a nessuno: con dosi basse di elettorato vincerà Giachetti e
Morassut si prenderà la sua quota di Pd romano. Ma poi, il 5 il 19
giugno ci saranno le elezioni vere e su quel fronte è intervenuta una
novità al momento incalcolabile: i Cinque Stelle hanno messo in campo
una candidata, Virginia Raggi, che alla prima uscita alla Stampa estera
ha mostrato di essere competitiva per diverse ragioni.
Trentasette
anni, tre anni di consiglio comunale, donna di bell’aspetto, Raggi ha
un programma che guarda anche a umori destrorsi («Una progressiva
chiusura dei campi nomadi non è più rinviabile, i bambini rom non devono
rubare ma andare a scuola»); è grintosa senza essere faziosa («Forse
Marino in cuor suo avrebbe voluto estirpare il malaffare»); ad ogni
domanda dei giornalisti ha risposto con garbo demodé («grazie»); essendo
una avvocatessa non è del tutto fuori dall’establishment, proprio come
la candidata Cinque Stelle a Torino, la bocconiana Chiara Appendino. E
Virginia Raggi ha anche un profilo pericolosamente (per il Pd)
“bifronte”, come dimostra la vicenda dell’apprendistato presso lo studio
Previti: lei ha spiegato che dopo essere stata addetta «alle file», non
vi ha mai lavorato e il quotidiano “Il Tempo”, da sempre vicino alla
destra romana, ha pubblicato un editoriale così titolato: «Niente fango
su Virigina». Renzi, per ora non si occupa di Roma (Giachetti se ne
lamenta un po’), ma nel Pd è calato il gelo sull’ottimismo di giorni fa
col centrodestra in versione harakiri e i Cinque Stelle che non
decidevano. E Giachetti, che ammette di «non avere un programma», dopo
la probabile vittoria alle Primarie è chiamato a parlare della città,
immaginandosi come un possibile sindaco di Roma. Su uno dei suoi
volantini è scritto: «Se vota n’artra vorta? E chi ce crede più?». Un
approccio minimalista e romanesco, forse immaginato nell’eventualità che
i Cinque Stelle potessero mettere in campo uno sfidante a squarciagola,
ma che difficilmente potrà essere replicato in una campagna elettorale
che durerà centodiciassette giorni. Finora dei problemi di Roma e delle
ricette per riscattarla, non ha parlato nessuno.