La Stampa 26.2.16
Le unioni civili passano al Senato con il sì di Verdini
Votata la fiducia. Renzi: “Vince l’amore” Alfano indagato per abuso d’ufficio
Il renziano Richetti: il sì di Ala al governo apre un caso
“Denis con la maggioranza è troppo. Sul ddl Cirinnà gestione disastrosa”
Rimpasto? Mi è bastato l’ultimo, tradita la prima Leopolda
intervista di Carlo Bertini
Unioni
civili al traguardo, ma con Verdini che vota la fiducia al governo. Che
ne pensa il renziano della prima ora Matteo Richetti?
«Che oggi è
una giornata emblematica di questa legislatura e di questa stagione
politica. I due rami del Parlamento che approvano conflitto di interessi
e unioni civili. E’ oggettivo che questi cinque anni saranno un passo
lungo venti nella storia politica del paese. C’è un però».
Quale?
«Il
segretario domenica ha detto: volete le riforme? Servono i numeri. Ed
io ho sempre difeso il varo di riforme costituzionali o legge elettorale
con le maggioranze che erano necessarie, Verdini compreso. Ma la
fiducia è un’altra cosa. Qui stiamo parlando di governo, di ingresso in
maggioranza...»
Un fatto politico che richiede una salita al Colle per comunicare che c’è un’altra maggioranza, come dice la destra?
«Il
punto è politico: la fiducia è il pieno inserimento in un progetto di
governo che presuppone una visione comune di paese e di società, vuole
dire che da oggi condividiamo con Verdini le idee legate a fisco,
economia, legalità, strumenti di sostegno alle povertà. E a me pare che
questo oggettivamente sia troppo».
C’è chi pensa che il prossimo passo sia un ingresso nel governo. Renzi potrebbe mai concederglielo?
«Poiché
ritengo che entrare in un governo significhi sottoscrivere un patto
sociale non vedo le condizioni. Fin dall’inizio sostenevo Matteo nel
dire che bisogna stare coi piedi nel centrosinistra e con lo sguardo
rivolto nel campo più ampio. Ma rivolto agli elettori, non al ceto
politico. E per rompere quella cinghia di trasmissione col dettato
ideologico. Per me quello che ha preso impropriamente il nome di partito
della Nazione avrebbe dovuto essere la naturale trasformazione del Pd
nei Democratici: con elettori che avevano fatto opzioni diverse, ma non
con ceto politico riciclato».
Insomma non ritiene possibile un nuovo rimpasto a breve.
«Sinceramente
mi è bastato l’ultimo. Perchè rappresenta la resa ad un politicismo che
non ha nulla a che vedere con le porte spalancate della prima Leopolda.
Perchè in quello slogan “non si ferma il vento con le mani” c’era
l’idea che le logiche di piccolo cabotaggio della politica avrebbero
avuto vita breve. Non c’era solo la rottamazione delle persone, ma anche
delle prassi. Che abbiamo rivisto nell’eccesso di equilibrismo
dell’ultimo rimpasto, sia per gli inserimenti di qualche alleato che
doveva prepararsi a sostenere qualche legge indigesta, sia per i nomi
del nostro stesso partito che servono pure a compensare qualche
risarcimento per le amministrative delle varie correnti. Ma nomi non ne
faccio».
Questa vicenda delle unioni come è stata gestita? Insomma ha vinto Renzi questa partita o no?
«L’ha
vinta lui perché fa colmare un altro ritardo enorme all’Italia. Però la
gestione è stata disastrosa: fin dall’inizio bisognava pensare ai
numeri, partendo da un accordo di maggioranza per poi casomai allargarlo
e non viceversa. Perchè questo trasforma tutto in una sconfitta: uno
straordinario risultato di mediazione viene vissuto come un
arretramento. Certo il Pd incassa un risultato storico in termini di
riconoscimento dei diritti».
E più in generale come sta in salute il partito dopo due anni di governo?
«La
salute la guardo dagli occhi dei suoi elettori e non dai sondaggi.
Altrimenti è come se uno con le analisi del sangue sballate gode perché
la cartomante gli ha predetto lunga vita. Sono sballati i valori perché
c’è troppa società rimasta fuori dalle porte di questo partito: e ciò
non rende merito al lavoro straordinario che su molte questioni il
segretario sta facendo. Penso all’Europa: Renzi sta mettendo in campo
l’unica visione europeista tra tutti i leader di centrosinistra.
L’Europa non si salva se mentre gli altri stampano moneta noi ci
barcameniamo tra fiscal compact e bail in».