La Stampa 26.2.16
I cinesi sono sempre più ricchi
Cina, Pechino ha più miliardari di New York
Secondo la rivista Hurun, il Forbes cinese, è la capitale mondiale dei super ricchi
di Cecilia Attanasio Ghezzi
Trent’anni
fa, l’attuale terzo uomo più ricco della Cina, il re dell’acqua
minerale e delle bibite gasate Wahaha, guadagnava appena 25 centesimi al
giorno. Zong Qinghou nel 1987 aveva 42 anni e vendeva ghiaccioli alle
uscite delle scuole. Le politiche di riforme e di aperture erano state
appena avviate e nella Repubblica popolare cominciavano a circolare i
primi beni di consumo. «Lasciate che alcuni si arricchiscano per primi»,
avrebbe detto qualche anno più tardi Deng Xiaoping aprendo la strada a
quel processo che avrebbe portato la sua nazione a diventare la seconda
economia mondiale in appena tre decadi. E la storia di Zong Qinghou,
ricalca quella della sua nazione.
Il venditore di ghiaccioli
Nato
a ottobre del 1945, quando la Cina usciva dalla seconda guerra mondiale
solo per entrare in una ancor più sanguinosa guerra civile, è stato
adolescente durante la terribile carestia che è seguita al Grande Balzo
in Avanti. È uscito dalle campagne solo alla fine della Rivoluzione
culturale, quando si era costruito una carriera da rappresentante.
Vendeva carne, biciclette, tv e tutto quello che i primi consumatori
cinesi potevano permettersi. Comprò assieme a due insegnanti in pensione
la licenza per vendere bibite di una delle ditte per cui lavorava. Poi
ebbe un’intuizione: la pubblicità.
Comprò spazi pubblicitari nella
televisione e nei giornali di stato. «In alcune piccole città, Wahaha
divenne una marca di riferimento a sole due settimane dal lancio
pubblicitario» racconta a Bloomberg. Quel primo anno fece profitti per
14 mila euro, circa 50 volte il reddito medio annuale dell’epoca. Da
allora la sua azienda non ha mai smesso di crescere, lui è diventato
membro di uno dei più importanti organi politici della Repubblica
popolare e, cosa che più conta, un miliardario che si ricorda delle sue
umili origini. Quando è in azienda, si racconta, mangia a mensa con i
suoi impiegati. Ha fatto suo il motto denghiano e dice: «Chi si è
arricchito per primo deve aiutare gli altri ad arricchirsi» e «se una
nazione è ricca, ma il suo popolo è povero, non potrà mai essere forte
perché la sua società sarà instabile».
La classifica di Hurun
Secondo
i dati dell’ultimo rapporto Hurun, il Forbes cinese, la sua è una
tipica storia della Repubblica popolare che per il secondo anno di
seguito si aggiudica il primo posto per numero di paperoni che non hanno
potuto contare su alcun patrimonio di famiglia. È invece la prima volta
che il numero di miliardari cinesi diventa più importante di quello
americano (568 contro 535) e che Pechino supera New York per numero di
miliardari che vi abitano. I dati Hurun, oltre a raccontarci un sorpasso
epocale, evidenziano come la Cina ha fatto suo l’elemento fondativo del
sogno americano: il «self made man», l’uomo che è capace di costruire
il suo impero dal niente.
Dal cinema al mattone
Wang
Jianlin, a capo dell’impero Wanda e il più ricco dei cinesi, ha
cominciato come soldato nell’esercito di liberazione, ma con l’apertura
si è buttato prima nell’immobiliare e poi nell’intrattenimento. Jack Ma,
che lo segue a stretto giro nella classifica dei paperoni d’Oriente,
era stato perfino rifiutato dal Kfc prima di dare vita al gigante
dell’ecommerce Alibaba, l’azienda che si è quotata sul mercato
statunitense con l’Ipo più grande della storia. Hanno quella positività
di chi ha visto il proprio Paese sollevare 600 milioni di persone dalla
povertà e contribuire alla formazione di quella classe media che, oggi, è
più numerosa di quella statunitense.
Aumenta il benessere
Oggi
la popolazione cinese guadagna in media sei volte tanto quello che
guadagnava nel 1976, e cento milioni di persone sono passate dal
possesso di una bicicletta a quello di una macchina. Solo nel 2010,
quando in un format televisivo molto simile al nostro «Uomini e donne»,
una ragazza per rifiutare un pretendente disse: «Preferisco piangere sui
sedili di una Bmw, che ridere sul portapacchi di una bici» fu uno
scandalo. L’affermazione sconvolse l’opinione pubblica cinese al punto
tale che rimbalzò nella blogosfera della Repubblica popolare tanto da
essere trasformato in un fenomeno culturale che resiste a cinque anni di
distanza. Ma gli ultimi anni ci hanno insegnato che il suo non era un
caso isolato, ma la manifestazione di una tendenza inarrestabile della
società dello Stato più popolato del pianeta.