il manifesto 26.2.16
Erri De Luca: «Un delitto di Stato»
Caso Regeni. «L’Italia abbia il coraggio di chiamare l’Europa perché esiga la verità»
intervista di Giuseppe Acconcia
Abbiamo
incontrato ieri al sit-in alle porte dell’ambasciata egiziana a Roma lo
scrittore Erri De Luca che ha aderito all’iniziativa di Antigone e
Amnesty International per chiedere giustizia sul caso Giulio Regeni.
L’autore di «Solo andata» e di tante iniziative che coinvolgono i
migranti si è fermato tra gli striscioni che chiedevano «Verità per
Giulio» mentre alcuni giovani hanno continuato a colorare un panno
bianco intorno a cui si sono raccolte centinaia di persone.
Crede
che il governo italiano stia facendo abbastanza perché le autorità
egiziane si impegnino a fare luce sui veri responsabili della morte di
Giulio Regeni?
Giulio Regeni è un cittadino europeo: è stato
ucciso dalla polizia in Egitto. Le pressioni del governo italiano sulle
autorità egiziane sono state fin qui insufficienti per ottenere la
verità sulla sua scomparsa e tortura. È necessario a questo punto che
l’Italia chiami l’Unione europea perché eserciti tutte le pressioni
possibili sul Cairo affinché si arrivi alla verità.
Perché fino a
questo momento la voce italiana è sembrata così flebile nel chiedere la
verità per Giulio, solo ieri il ministro Gentiloni ha risposto
all’ennesimo depistaggio degli inquirenti cairoti?
Il principio è
un altro: prima viene la dignità politica e poi vengono gli affari. Il
governo invece è del tutto reticente. Questo caso disturba il business
italiano in Egitto. In particolare siamo in subordine alle autorità
egiziane per i contratti in materia di gas. Non è un caso che sia stato
appena firmato un contratto da Eni con il Cairo. Per questo il governo
italiano colpevolmente non chiede un intervento più incisivo all’Europa.
Pensa
che fin qui i mezzi di comunicazione non abbiano raccontato abbastanza e
in maniera esauriente il caso Regeni o abbiano contribuito addirittura
ad accreditare i depistaggi egiziani?
È un mese che chiediamo di
essere ascoltati e non è accaduto nulla. Siamo qui per questo: per
attirare l’attenzione dei media su un caso che potrebbe essere
silenziato del tutto. La stampa deve fare pressioni perché venga dato il
giusto valore alle attività che Giulio svolgeva al Cairo e che il suo
ricordo resti un esempio per tutti. Battiamo i piedi per terra, dobbiamo
essere presenti giorno per giorno affinché si arrivi alla verità. È
necessario che le nostre richieste vengano fatte valere e che
l’ambasciatore ascolti le domande della famiglia del giovane.
Chi ha ucciso Giulio Regeni: è chiara secondo lei la responsabilità della polizia egiziana?
Ci
troviamo di fronte ad un delitto di Stato. Giulio è stato prelevato con
la forza. Tutto fa pensare che le responsabilità siano di un corpo
professionale e organizzato. Giulio è stato torturato a morte in maniera
scientifica. Il suo corpo è stato martorizzato. Il cadavere di Giulio
Regeni è stato scartato via come un rifiuto. Come se non bastasse, i
responsabili di questo crimine in Egitto hanno la garanzia
dell’impunità. Siamo certi che non si sia trattato di un atto di piccola
criminalità, altrimenti i responsabili sarebbero stati subito
arrestati. Dobbiamo batterci perché non prevalga il silenzio e si arrivi
alla verità.
Perché hanno voluto attaccare proprio Giulio Regeni che svolgeva la sua attività di ricerca e nulla di più?
Giulio
era un’avanguardia, era uno di noi. Giulio svolgeva con competenza e
conoscenza, anche grazie alla sua capacità di parlare bene la lingua
araba, un lavoro importantissimo, sul campo, che ormai non fanno più
tanti giornalisti e ricercatori. Era impegnato in una ricerca meticolosa
e attenta. È possibile che colpendolo abbiano sbagliato persona o che
fossero male informati. Giulio era un grande cittadino europeo e noi
dobbiamo difenderne la memoria che non deve essere mai infangata né i
suoi titoli devono essere negati.
I «realisti» tendono a fare pressioni perché il caso Regeni venga insabbiato in nome della «lotta al terrorismo» di al-Sisi?
L’Egitto
è un paese che sta attraversando una profonda crisi e una fase molto
delicata. Il governo dei militari si è sovrapposto al precedente e
questo ha implicato una repressione che colpisce direttamente il
rispetto dei diritti umani di quel popolo.