La Stampa 25.2.16
Regeni, un mese di inganni
Tensioni tra Italia ed Egitto
Non arrivano le risposte promesse ai nostri investigatori
di Francesco Grignetti
Un
 mese è trascorso dalla morte di Giulio Regeni ed oggi si terrà una 
manifestazione davanti all’ambasciata d’Egitto a Roma, indetta da 
Amnesty international, cui parteciperanno in tanti. Dopo un mese di 
inutili attese, però, senza che mai il nostro team di investigatori al 
Cairo abbia potuto accedere agli atti dell’inchiesta, il governo ha 
deciso di imprimere un’accelerazione. È quanto ha annunciato 
direttamente il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, in Parlamento: 
«Il governo italiano trasmetterà richieste specifiche e dettagliare 
attraverso gli opportuni canali diplomatici». Sennonché anche al Cairo 
hanno deciso di tracciare un punto sulle indagini. E l’hanno fatto con 
un clamoroso comunicato ufficiale: «Non sono stati identificati ancora -
 scrive il ministero dell’Interno - i colpevoli, né il movente 
dell’omicidio. Tutte le possibilità sono aperte, tra cui il movente 
criminale o la volontà di vendetta per ragioni personali». Una vendetta 
per ragioni personali dietro l’omicidio di Giulio Regeni? Si vuole 
davvero spiegare così al Cairo quella morte atroce al termine di lunghe 
sevizie? La famiglia Regeni si sente addolorata e insultata. «Faremo 
tutto quanto nelle nostre possibilità per giungere al pieno accertamento
 della verità, e reagiremo ai tentativi di depistaggio da dovunque 
questi provengano», annuncia il suo legale.
Niente verità di comodo
Anche
 il governo italiano non può accettare una verità del genere. E infatti 
Gentiloni è esplicito nel liquidare la versione egiziana: «Non ci 
accontenteremo di una verità di comodo né di piste improbabili, come 
quelle evocate oggi dal Cairo». Ciò che però il governo non può dire 
apertamente, lo dice Rosa Calipari, deputata Pd, membro del Copasir: «La
 pista dell’omicidio premeditato per una vendetta causata da motivi 
personali è totalmente falsa: non è tra le ipotesi ritenute possibili, 
come invece sembra sostenere il comunicato del ministero dell’Interno 
egiziano. Basta falsità. E le autorità egiziane collaborino pienamente».
 È una guerra di parole, insomma, quella che ieri s’è combattuta tra 
Roma e Il Cairo. Nei giorni scorsi il nostro governo aveva preso atto 
che da parte egiziana non sono mai arrivate le risposte promesse al team
 di investigatori, così ha deciso di alzare l’asticella: il famoso 
elenco di atti, già chiesto dal team di investigatori attraverso il 
nostro ambasciatore, poi avanzato nuovamente attraverso una rogatoria 
della magistratura romana nei confronti dei colleghi della procura 
generale egiziana, ora è stata reiterato al massimo livello 
ministeriale.
Accesso agli atti
Oggi, per dire, il ministro 
Gentiloni è a Cipro per un vertice tra Paesi mediterranei e potrebbe 
incontrare il suo omologo egiziano: ovvio che ripeterà il mantra di 
queste settimane. Gli italiani infatti si attendono dall’Egitto non 
parole, ma tabulati telefonici, il traffico dei cellulari che hanno 
sostato sotto casa Regeni il giorno del rapimento, e poi ancora i 
verbali di interrogatorio delle persone interrogate finora, i risultati 
dell’autopsia, le registrazioni dei video che riprendevano la via dove 
abitava Regeni. Dice perciò Gentiloni: «La cooperazione (delle autorità 
del Cairo, ndr) con il team investigativo italiano può e deve essere più
 efficace. Gli italiani non possono essere solo informati, devono avere 
accesso ai documenti sonori e filmati, ai reperti medici, agli elementi 
del processo in possesso della procura di Giza». Sembra essersi 
trasformato in un autogol, insomma, il comunicato ufficiale egiziano, 
che trasudava disappunto per gli scoop giornalistici e le campagne sui 
social. «Un depistaggio che influisce sulle indagini». E restano 
evanescenti anche le parole dell’ambasciatore egiziano Amr Helmy, citato
 dall’agenzia ufficiale Mena, di un omicidio che potrebbe essere stato 
un atto criminale o terroristico compiuto da chi «vuole minare le 
relazioni tra Italia ed Egitto». La reazione di Gentiloni, però, non 
soddisfa i grillini (Alessandro Di Battista: «Siete zerbini»), né 
Sinistra italiana (Arturo Scotto: «Di fronte alle reticenze egiziane il 
governo sospenda la vendita di armi e metta in discussione rapporti 
commerciali»).