La Stampa 23.2.16
Così l’America prepara il blitz anche senza un governo di unità
II Pentagono spinge per intervenire appoggiandosi agli alleati
di Paolo Mastrolilli
I
droni armati che da un mese decollano da Sigonella servono a proteggere
le forze speciali americane, che sono sul terreno in Libia per
preparare l’intervento contro l’Isis, di cui il presidente Obama discute
da tempo con gli alleati.
La strategia per ora non è cambiata:
gli Usa favoriscono la creazione del governo di unità nazionale mediato
dall’Onu, per concordare con questo esecutivo le operazioni per
sradicare l’Isis dal paese. Nel frattempo, Washington colpisce gli
obiettivi terroristici che si presentano e vanno eliminati subito, come
era capitato a novembre col capo locale dello Stato Islamico, Abu Nabil,
o la settimana scorsa con il campo dove il tunisino Noureddine
Chouchane addestrava le nuove reclute. Questo doppio binario però ha un
orizzonte temporale, che qualche tempo fa il capo degli Stati Maggiori
Riuniti Dunford aveva contabilizzato in settimane, più che mesi. In
altre parole, se il governo di unità nazionale non nascerà davvero nel
prossimo futuro, gli Usa e i loro alleati come l’Italia dovranno
considerare la possibilità di intervenire comunque per fermare l’Isis.
È
indicativo che poche ore prima dello «scoop» del Wall Street Journal,
atteso ormai da giorni negli ambienti diplomatici, il New York Times
aveva pubblicato un lungo articolo sulle difficoltà che
l’amministrazione Obama incontra nel fronteggiare la minaccia dello
Stato islamico in Libia. Secondo le valutazioni dell’intelligence Usa, i
militanti dell’Isis nella regione di Sirte sono saliti ormai a 6.500. I
capi dello Stato islamico in Siria e Iraq indirizzano le nuove reclute
verso l’ex colonia italiana, perché in Medio Oriente sono sotto attacco,
mentre in Africa settentrionale sono più liberi di muoversi e
prepararsi a combattere. Il pericolo maggiore è che l’Isis si fonda con
gli altri gruppi jihadisti africani, a partire da Boko Haram e Shabab,
puntando ad allargare il proprio Califfato all’intera regione sahariana.
Per questo gli americani, insieme a canadesi, olandesi e belgi, stanno
addestrando le truppe nei paesi dove esistono ancora i governi, come
Senegal, Mali, Niger, Nigeria, in modo da prepararle a fermare
l’avanzata dei terroristi.
La Libia però è un discorso diverso,
proprio perché non ha governo ed è in preda alla guerra, che ha aperto
la porta all’Isis. Da qui lo Stato Islamico minaccia la produzione
petrolifera, si allarga in Africa, e addestra militanti che potrebbero
colpire anche in Europa, a partire dall’Italia. Il Pentagono ha definito
da tempo i piani per intervenire, inviando sul terreno le forze
speciali che stanno preparando la loro attuazione. I droni armati che da
circa un mese decollano da Sigonella servono a proteggerli, se fossero
attaccati. Quindi hanno una funzione difensiva, almeno per ora,
concordata col governo italiano. Il negoziato segreto infatti durava da
circa un anno, ed è entrato nella fase più operativa ad aprile scorso,
cioè quando il premier Renzi ha incontrato Obama alla Casa Bianca. Il
mese scorso è arrivato il via libera di Roma e le missioni sono
cominciate.
Al momento la linea resta quella del doppio binario:
attacchi mirati contro obiettivi terroristici specifici, come quello di
Sabrata, a cui non hanno partecipato i droni armati di Sigonella; attesa
del governo di unità nazionale, per condurre insieme un intervento più
ampio contro l’Isis, che userebbe truppe di terra libiche supportate
dagli alleati occidentali, inclusa l’Italia. I droni di Sigonella
preparano questa fase, sempre più imminente. L’obiettivo della Casa
Bianca sarebbe condurla insieme a Tripoli, ma Pentagono e Cia spingono
ad agire subito. Se i libici non formeranno il governo e l’Isis
continuerà a crescere, i piani potrebbero cambiare, obbligando ad
intervenire.