La Stampa 22.2.16
Céline, viaggio al termine dell’harem
Nelle Lettere alle amiche giochi goliardici e ossessioni erotiche
Angustiato dalla pesantezza della materia era attratto soprattutto dalle levità delle danzatrici
di Ernesto Ferrero
Un
harem decentrato e itinerante, una multinazionale dell’eros ginnico. A
tirarne le fila, un Monsieur Verdoux nonviolento, uno scacchista che
movimenta le sue pedine amatorie con talento spregiudicato, un
Machiavelli della banlieue che dispensa consigli di cinismo pratico. È
il dottor Louis Destouches, medico dei poveri e titolare del Dispensario
di Clichy, nella più sofferente delle periferie parigine. All’inizio
degli anni 30 diventa scrittore, assume il nome della nonna, si
trasforma in Céline, e scrive il romanzo d’esordio più fragoroso di
tutto il ’900, il Viaggio al termine della notte, in cui il secolo è già
fissato magistralmente in quel che è e sarà.
Un capolavoro
anarcoide, grondante di amore deluso per gli uomini, un evergreen che è
ancora capace di conquistare i giovani d’oggi. Le Lettere alle amiche
del dottor Destouches non ancora del tutto Céline arrivano in Italia con
molto ritardo, ma del gran romanzo restano parenti abbastanza strette
(traduzione di Nicola Muschitiello, Adelphi, pp. 260, € 15). Vi si può
riconoscere anzitutto quel culto della donna, «una sorta di musica di
fondo», come chiave d’accesso ai misteri della vita.
Perfezione fisica
La
predilezione di Céline è anzitutto fisiologica, va alla perfezione del
corpo femminile, mirabilmente incarnata da ballerine e ginnaste.
Angustiato dalla pesantezza malevola della materia, anela la levità con
cui la ballerina, abolendo la forza di gravità, si libra senza peso
sulla cresta dell’attimo. Sono danzatrici Elizabeth Craig, l’americana
che dopo un difficile ménage di otto anni nel 1933 se ne torna in
patria, convinta che quell’uomo tormentato non le possa assicurare un
futuro stabile (e vedrà giusto); e Lucette Almansor, la piccola, diafana
ballerinetta dell’Opéra che diventerà la sua seconda moglie, un angelo
di luminosa bontà e dedizione, tuttora vivente a 104 anni.
In
mezzo, ragazze spregiudicate che si assomigliano tutte, fascino perverso
e cosce perfette. Così la danese Karen Maria Jensen, volto da diva,
occhi blu e capelli neri, che spopola in un balletto di scena a Parigi,
misteriosa, quasi inaccessibile («Che peccato che tu non sia un po’ più
dolce. Saresti divina»). Anche Cillie Pam, che lui chiama N., è una
campionessa di perfezione fisica. Ha 27 anni, è un’austriaca di origini
ebraiche che insegna ginnastica a Vienna. Possiede un popo, culetto in
tedesco, che manda letteralmente in visibilio il dottore. Non c’è
lettera in cui non ci giochi un po’, con insistenza goliardica.
Cultura, salute e sesso
Erika
Irrgang invece gli cade letteralmente tra le braccia. È una giovane
pubblicista tedesca dai grandi occhi, impegnata a sinistra, che è venuta
a Parigi con pochi soldi, fa la fame, e un giorno sviene in un caffè.
Lui se la porta a casa, le diagnostica un’anemia grave, la rifocilla a
bistecche, poi la trascina con sé nelle scorribande notturne in
quartieri malfamati. Quando lei torna in patria, le prodiga consigli
pratici per uscire «dalla miseria e dalla confusione»: «Usi tutte le sue
armi, tutt’insieme, tutte, il sesso, il teatro, la cultura, il lavoro.
Ma si mantenga in salute. Niente amore senza preservativo. Altrimenti da
dietro. E coltivi il campo della letteratura e del teatro, se è un modo
per farcela. Tenga d’occhio gli hitleriani ma attenzione, legga bene i
giornali, non sia disinteressata dal punto di vista politico come tutte
le donne». Può diventare paterno: «Lei ha un’indole eccellente e
coraggiosa […] ma deve fare le cose usando la logica - il genio è una
combinazione di follia e furbizia […]. Io qui faccio molta fatica -. È
tutto molto difficile. Il libro [il Voyage. ndr] esce all’inizio
d’ottobre. Ma sa, la letteratura è Morte. A tenerci in vita è solo
l’affetto per le persone e le cose. Tutto il resto è niente».
Dell’harem
fa parte una scrittrice belga di romanzi sentimentali, Evelyne Pollet,
coniugata con prole, che perde letteralmente la testa per il bel
tenebroso, ma è portatrice di un’idea di letteratura da salotto buono
che è l’esatto contrario di quella di lui. E c’è anche una pianista di
fama internazionale, Lucienne Delforge. Il legame durerà poco: sono
troppo artisti tutti e due per potersi dedicare a un partner.
Con
tutte, il dottore recita la parte del Grande Cinico che ha conosciuto il
male del mondo e scongiura le amiche di sposare uomini facoltosi e non
fare bambini. Un vieux garçon che irride il romanticismo (lo chiama «il
bidet lirico»), convinto che «la volgarità comincia nel sentimento»:
«Lei mi vuole bene, N., ma le faccio rabbia. Non parlo abbastanza
d’amore. “Parlez-moi d’amour!..”. Ma non ci riesco. Non parlo mai, non
ho mai parlato di queste cose. Parlo di popo. Capisco solo il popo.
Mangio popo. Non sono adatto che al popo».
Fautore del sesso come
sana pratica sportiva, predica il vizio come un sadiano e si diletta di
combinare amori di gruppo a prevalenza lesbica, di cui sembra essere più
regista e spettatore che attore. La trasgressione erotica pare quasi
essere un po’ il pendant di quella stilistica, ricerca esasperata (e
angosciata) di una petite musique che nessuno ha ancora composto.
L’orrore del fascismo
Intanto
l’Europa si avvia alla tragedia. Nell’aprile 1933 il futuro antisemita
comincia a preoccuparsi per la sua giovane amica ebrea N., teme
l’invasione dell’Austria: «Pare proprio che alla fine Hitler schiaccerà
l’opposizione come in Italia […]. La follia di Hitler finirà per
dominare l’Europa per secoli. Il signor Freud non può farci niente». Nel
febbraio del 1934 scrive: «Anche noi ora siamo avviati al fascismo […].
Sembra non finir mai l’Orrore». Il suo pessimismo annuncia un disastro
epocale: «La ferocia delle masse è solo in attesa d’un pretesto. Qui o
là, è lo stesso sadismo, la stessa opaca inerzia delle anime e dei
corpi. Niente da fare. La nostra è una razza fallita[…]. L’Europa è
troppo inebetita, troppo incancrenita, troppo corrotta». Il disgusto per
il mondo cresce con il viaggio in Russia del 1936: «Che orrore! Che
ignobile montatura! Che sporca stupida faccenda! Com’è grottesco,
astratto e criminoso tutto questo!». Céline resta solo con i suoi
deliri, le sue ossessioni, le sue certezze: «L’unico inventore del
secolo! Io! Io! Io! Qua, davanti a lei! L’unico geniale, lo potete ben
dire! Maledetto o non maledetto!».