La Stampa 20.2.16
100 mila italiani sono emigrati all’estero
Tutti I rischi della grande fuga
di Pietro Paganini
È
un problema che 100 mila italiani siano emigrati all’estero? No. Il
mondo ci offre grandi occasioni ed è giusto che noi e i nostri figli le
sfruttiamo. Che vadano quindi all’estero a cercare fortuna, a creare,
produrre e innovare. E’ la natura umana: esplorare ed essere curiosi.
Tra l’altro, i 100 mila li abbiamo sostituiti con 245 mila stranieri, a
cui aggiungere 28 mila italiani rientrati. Il saldo è positivo.
Eppure
il dato fornito dall’Istat sta suscitando grande clamore e avrà giorni
di strascichi politici che, come al solito in questi casi, si
risolveranno in nessuna reazione concreta. Perché dovremmo preoccuparci?
Ci sono due ragioni. La prima è che il numero di chi esce si è alzato
mentre il numero di chi entra è andato progressivamente riducendosi. Il
Paese è meno attrattivo. Così come non arrivano gli investitori,
arrivano meno lavoratori stranieri. La seconda ragione dovrebbe
preoccuparci seriamente, ed è strettamente connessa alla prima. Perché
quelli che se ne vanno sembrano essere i cosiddetti Cervelli in Fuga,
giovani molto qualificati che in Italia non vogliono più stare perché
frustrati da un sistema che premia le relazioni familiari, parrocchiali e
corporative, invece di esaltare la competitività e l’intraprendenza,
cioè il merito. Le istituzioni, così come molte università e imprese del
settore privato, non riconoscono le competenze dei nostri giovani,
favorendo la mediocrità. E così scappano dalla burocrazia e da quella
cultura genuflessa sul passato che ha rinnegato qualsiasi visione sul
futuro. E’ un atteggiamento che purtroppo sta attecchendo in molte parti
d’Europa, spingendo italiani ed europei verso gli Usa e sempre più
progressivamente verso l’Asia, dove, invece, si costruisce il domani. Ne
consegue, e questo è il terzo problema, che quelli che corrono da noi,
eccezioni a parte, sono individui poco qualificati che trovano nel
nostro Paese una speranza, ma non un’opportunità. Il saldo quantitativo
di questo processo migratorio è positivo, ma quello qualitativo è
purtroppo desolatamente negativo. Perdiamo valore, perdiamo energia,
perdiamo il futuro. In una visione aperta del mondo, i flussi migratori
di persone qualificate (i talenti) sono una risorsa, soprattutto nel
contesto socio economico attuale dove la competitività si guadagna con
le conoscenze e la capacità di fare innovazione.
Essi ci donano la
diversità e la capacità di osservare il mondo da prospettive diverse,
di individuare problemi e soluzioni sempre originali. Sono il motore del
cambiamento. Alcuni Paesi lo hanno capito, si veda il dibattito negli
Usa sugli immigrati nelle High Tech Company così come nei Paesi
scandinavi e in molte regioni dell’Asia, Cina in testa, dove esistono
programmi per attrarre cittadini del mondo con grandi qualifiche. Non
solo vogliono attrarre, ma vogliono anche seminare, spedendo i loro
figli intorno al globo a contribuire e imparare. La diretta conseguenza
di questo saldo negativo non solo è evidente, ma ci deve preoccupare
molto. Ci ripetiamo che per vincere la sfida della competitività globale
e dell’evoluzione tecnologica dobbiamo puntare sulle competenze.
Eppure, al di là dei proclami, degli zero virgola, stiamo alimentando un
ecosistema involuto nella direzione opposta. Servono le riforme, certo,
ma serve soprattutto una visione, l’idea di futuro che da troppo tempo
ci manca.