lunedì 1 febbraio 2016

La Stampa 1.2.16
Abraham Yehoshua
“Non basta, la vera sfida resta la pace”
intervista di L. Cat.

«È una buona notizia, ma le vere sfide per Israele sono altre. E la strada resta tutta in salita». Lo scrittore e intellettuale Abraham Yehoshua è cauto nel definire la decisione del governo israeliano «una svolta storica».
Professore, non crede che si tratti di un segnale di apertura?
«Uomini e donne pregano già insieme nelle sinagoghe, non è una novità assoluta. Ma gli ortodossi hanno perso una battaglia nel luogo più importante della fede ebraica, ha prevalso la spinta progressista. E questa è certamente una piccola vittoria».
Perché piccola?
«Perché Israele è uno Stato nato per scongiurare il rischio di una nuova diaspora dopo lo sterminio nazista. Oggi si tende a identificare il popolo con l’identità religiosa. Ma chi va a pregare al Muro rappresenta una minoranza. Non va dimenticato».
Quale potrebbe essere una grande vittoria?
«La vera sfida è rafforzare la democrazia, mettere fine all’occupazione in Cisgiordania, promuovere la convivenza pacifica con i palestinesi. È urgente trovare una soluzione che metta fine alle violenze che spesso insanguinano proprio il Muro Occidentale e la Spianata delle Moschee».
Ne ha in mente una?
«La più plausibile oggi è un unico Stato binazionale. In Israele ci sono un milione e mezzo di arabi-israeliani. Ottimi cittadini, ben integrati».
Non crede che la decisione di ieri possa rappresentare un primo passo verso scelte progressiste in altri settori della società?
«In tutta sincerità, credo di no. Il governo guidato da Benjamin Netanyahu è il più a destra di sempre nella storia di Israele. Lui ha una maggioranza di un solo voto alla Knesset, è debole. Ma il problema è che i suoi alleati sono molto più falchi e oltranzisti di lui. Se devo pensare a una «Età dell’oro» mi viene in mente quella del governo liberale e riformista di Menachem Begin (insignito del Nobel per la Pace nel 1978, ndr). Sembra un paradosso, ma Israele era molto più progressista trent’anni fa». [L. Cat.]