giovedì 18 febbraio 2016

La Stampa 18.2.16
Le rivelazioni della pasionaria nera
”Una rete di ex nazisti aiutò Priebke”
La discussa scrittrice Mary Pace, che in un primo tempo aiutò il capitano delle SS condannato all’ergastolo per le Ardeatine e poi lo tradì: “Il tramite era Giannettini”
di Francesco Grignetti

Il capitano delle SS Erich Priebke fu uno dei pochissimi gerarchi nazisti che abbia subìto un processo in Italia e scontato l’ergastolo. Ma i vecchi camerati non lo abbandonarono al suo destino. A soccorrerlo nel momento del bisogno si mosse quella famosa rete Odessa che nel dopoguerra permise ai nazisti di scappare in Sudamerica. A Priebke, i nazisti tedeschi garantirono un avvocato e lo fecero attraverso il famoso ex agente segreto Guido Giannettini. Un canovaccio da spy story che possiamo raccontare oggi grazie alla scrittrice Mary Pace e alla sua decisione di non portare certi segreti nella tomba.
Qualcuno si ricorderà di lei. Per mesi Mary Pace andò a trovare Priebke in carcere carica di regali, e perciò fu considerata una fanatica nostalgica. Di punto in bianco, però, cambiò posizione e spifferò al procuratore militare Antonino Intelisano che era già stata scritta una sentenza di assoluzione, come le aveva confessato l’avvocato Velio Di Rezze. Fu anche grazie a Mary Pace, quindi, se la Cassazione annullò il primo processo che mandava assolto il maggiore nazista e ne ordinò la ripetizione. «All’epoca - racconta la Pace - io passai per essere una banderuola. Ma la storia è molto più complicata».
Già, davvero molto più complicata. Mary Pace infatti nel 1995 non andava a trovare Priebke nel carcere militare per diletto, ma perché così volle un network di anziani nazisti con base a Stoccarda. La fantomatica Odessa si era risvegliata dal letargo alla notizia che Priebke sarebbe stato estradato dall’Argentina in Italia e qui sottoposto a processo. Per garantire «assistenza» al detenuto, da Stoccarda chiamarono un uomo fidato: Guido Giannettini. Proprio lui, l’ex giornalista e agente del Sifar che era stato coinvolto nella strage di piazza Fontana, l’amico dei neonazisti (guardacaso) Freda e Ventura. Dopo alterni processi, Giannettini nel 1981 era stato scarcerato e nel 1982 assolto definitivamente. Su di lui era rimasto però il marchio d’infamia, era considerato un reietto, e per campare lavorava come correttore di bozze a Cassino, in un giornale di Giuseppe Ciarrapico.
Proprio in quegli anni Giannettini divenne amico della scrittrice Mary Pace, che vive nel Cassinate, e che con lui condivideva idee di destra e passione per l’intelligence. «Fu Giannettini - spiega dunque Mary Pace - sollecitato da “quelli di Stoccarda” a chiedermi di avvicinare Priebke».
L’anziano ufficiale all’inizio era sospettoso. Non capiva bene chi fosse questa bella donna che insisteva per andare in carcere a intervistarlo. Problema risolto quando Giannettini, al telefono con Stoccarda, ricevette una sorta di parola d’ordine. Ma questo dettaglio, la Pace lo raccontò già nel libro Dietro Priebke, Piemme edizioni. I loro incontri andarono avanti a lungo. Priebke prese a fidarsi incondizionatamente. E così anche l’avvocato Di Rezze, che peraltro era stato portato in squadra proprio da Mary. Sennonché un giorno Mary Pace si fece sfuggire con i carabinieri del suo paese che l’avvocato era più che certo dell’esito del processo. Che lo sapeva perché rassicurato in questo senso dal presidente del tribunale militare.
Una chiacchiera al bar del paese divenne una bomba. I carabinieri fecero immediatamente un rapporto al procuratore militare e pretesero da Mary Pace che firmasse un verbale. «Io mi sarei morsa la lingua, ma ormai la frittata era fatta». Il giorno dopo, Mary Pace era già davanti alla scrivania del procuratore Intelisano. Ne venne fuori uno scandalo senza pari. Priebke poi fu davvero assolto, ma la Cassazione annullò il processo e si ricominciò.
Nel frattempo, la conversione di Mary Pace era divenuta di dominio pubblico. «Da Stoccarda cominciarono a telefonarmi. Erano furiosi. Mi minacciarono di morte. Io ero terrorizzata, così tornai da Intelisano a chiedere protezione. Per settimane ci fu una macchina dei carabinieri davanti casa mia».
E il suo amico Giannettini che cosa disse? «Sul momento s’arrabbiò tantissimo. Ma poi capì che non l’avevo fatto apposta. E mi perdonò».