La Stampa 18.2.16
SS italiane, la ferocia degli stranieri in patria
Ossessionati
 dal “tradimento” degli italiani, scelsero di restare al fianco dei 
tedeschi. Impiegati all’inizio contro gli alleati, furono presto 
dirottati nella guerra contro i partigiani dove si distinsero per la 
loro crudeltà
di Amedeo Osti Guerrazzi
Nelle 
pubblicazioni dei reduci di Salò, l’adesione alla Repubblica di 
Mussolini viene sempre giustificata con la volontà di difendere l’onore 
della Patria tradita dalla Monarchia e da Badoglio, e con la necessità 
di rendere meno dura la vendetta dei nazisti, continuando a combattere 
al loro fianco. Ma non tutti coloro che rifiutarono di accettare 
l’armistizio giurarono fedeltà a Mussolini.
Ventimila volontari
Circa
 ventimila italiani scelsero non di combattere «a fianco» dei tedeschi, 
ma «con», i tedeschi, arruolandosi direttamente nelle Waffen SS. Questi 
italiani, disgustati dal comportamento del re e del governo, umiliati 
per lo sfaldamento dell’esercito subito dopo l’armistizio, decisero di 
combattere nelle armate di Himmler per dimostrare al mondo che non tutti
 gli italiani erano dei «traditori». Chi si arruolò nel «Corpo nero» 
giurò fedeltà ad Hitler e di seguire i dettami dell’ideologia nazista. 
Insomma chi entrò nelle SS decise di far parte di un corpo fortemente 
politicizzato che aveva come scopo la costruzione di un «Nuovo Ordine 
Europeo», ovvero un’Europa dominata dalla Germania nazista, con una 
precisa gerarchia politica e razziale.
Gli arruolamenti di 
italiani nelle SS cominciarono immediatamente dopo l’armistizio. 
Mussolini aveva proposto ad Hitler la creazione di un corpo di SS 
italiane nei giorni successivi alla sua liberazione, nei colloqui 
avvenuti a Rastenburg il 13 settembre. All’inizio di ottobre il 
comandante supremo delle SS Himmler diede il via all’operazione. Alcune 
migliaia di internati militari, i soldati del Regio esercito rastrellati
 dalla Wehrmacht nei giorni immediatamente successivi all’otto settembre
 e deportati in campi di prigionia in Germania ed in Polonia, si 
presentarono spontaneamente, ed andarono a costituire i primi 
battaglioni. Altri gruppi, invece, si arruolarono in blocco. Si trattava
 di piccole unità di camicie nere che, sorprese nei Balcani o 
nell’Europa dell’Est dagli avvenimenti di settembre, avevano deciso di 
rifiutare l’armistizio e di continuare la loro guerra a fianco dei 
tedeschi. Furono questi gruppi che si dimostrarono i più decisi e 
violenti nei mesi successivi. Ai primi di novembre 1943 i primi reparti 
tornarono in Italia e, agli ordini di ufficiali tedeschi, furono 
immediatamente utilizzati nei rastrellamenti contro i partigiani, 
specialmente in Piemonte.
L’esordio a Vinadio
La prima 
operazione di una certa importanza nella quale fu impiegato un reparto 
di SS italiane fu il rastrellamento di Vinadio, una cittadina in 
provincia di Cuneo che era caduta nelle mani dei partigiani. Il 9 
dicembre 1943 i nazi-fascisti riconquistarono Vinadio e lo misero a 
ferro e fuoco. Secondo il racconto del comandante partigiano Nuto 
Revelli furono gli italiani a chiedere «l’alto onore» di fucilare i 
partigiani catturati, anche quelli feriti. «Hanno trascinato i feriti 
come bestie fuori dall’Ospedale Santa Croce. – scrisse Revelli - Li 
hanno buttati su un camion. Al poligono di tiro un ferito non si reggeva
 in piedi, le sue ferite aperte perdevano sangue. I fascisti lo hanno 
legato a una sedia per fucilarlo meglio».
Non fu un caso isolato: 
anche nelle operazioni successive le SS italiane si distinsero per la 
brutalità nei confronti di prigionieri e civili. Nel marzo 1944, durante
 un rastrellamento nei pressi del paese di Balangero, un ufficiale 
italiano delle SS insistette per fucilare dei civili presi come ostaggi,
 anche contro la volontà del suo superiore tedesco, tale Kreuser. «Il 
Kreuser non aveva fatto nulla, mentre T., italiano, volle e 
spietatamente volle», si legge nella sentenza che condannò l’ufficiale 
italiano nel dopoguerra. Poche settimane dopo, un reparto delle SS 
italiana fu attaccato nel paese di Cumiana, a nord di Pinerolo. Lo 
scontro fu rapido e le SS furono costrette ad arrendersi, lasciando 
nelle mani dei partigiani 32 soldati e due sottufficiali tedeschi. Il 
primo aprile giunse a Cumiana un altro reparto delle SS italiane che 
come prima cosa diede fuoco al paese, raccogliendo poi circa 200 ostaggi
 tra la popolazione civile. Nonostante i tentativi di trovare un 
accordo, lo scambio tra prigionieri ed ostaggi non si poté effettuare e 
le SS fucilarono 51 ostaggi, distruggendo poi il paese.
Impiccagioni
Nel
 1945 alcuni reparti furono impiegati in Lombardia, dove operarono 
sempre con gli stessi metodi. Secondo le memorie di un ex SS italiana, 
pubblicate nel 2007: «Con i partigiani […] applicammo la legge marziale:
 quando ne catturavamo qualcuno, lo impiccavamo. D’altra parte, ogni 
volta che loro mettevano le mani su un legionario SS, non avevano alcuna
 remora a passarlo per le armi.»
L’ultima strage compiuta dai 
«legionari SS» avvenne a Rodengo-Saiano, in provincia di Brescia, il 29 
aprile 1945, quando il maggiore Thaler decise la fucilazione di sei 
partigiani fatti prigionieri.
Non è facile capire le motivazioni 
di una tale violenza. Sicuramente le caratteristiche della guerra civile
 e della guerra anti partigiana portarono alla brutalizzazione dei 
reparti, tuttavia le SS italiane si distinsero per la loro spietatezza 
soprattutto nei confronti dei civili. L’adesione ad un corpo scelto e 
fortemente ideologizzato, li convinse di essere parte di quella élite 
guerriera che avrebbe governato l’Europa nel dopoguerra, così descritta 
dalla rivista ufficiale del corpo, Avanguardia: «Camerati tedeschi, 
uomini tagliati da una scure divina in un blocco di diamante, gente 
stretta da una solidarietà più unica che rara, spiriti indomiti e 
invincibili, mirabile esempio di disciplina, correttezza e lealtà […]. 
Il mondo cieco e malvagio vi odia perché vi sentite forti, migliori e 
decisi a vedere la morte del vostro nemico […]. Con voi ci sono gli 
uomini di Mussolini, le creature che non tradirono».
Spietati
Per
 fare parte di questa élite, per dimostrare di non appartenere ad un 
popolo di «traditori», era necessario dimostrarsi più duri e spietati 
degli stessi tedeschi. L’aver prestato giuramento ad un corpo straniero,
 inoltre, aumentò l’isolamento dei militi, che si sentirono «stranieri 
in Patria», e combatterono come se fossero parte di un esercito di 
occupazione in territorio nemico, cosa che in realtà erano. Soltanto 
tenendo ben presenti questi elementi si spiega l’estrema violenza 
dimostrata dalle SS italiane nei confronti dei civili italiani, e la 
decisione con la quale eseguirono gli ordini dei loro superiori 
tedeschi. Molti di essi, disgustati dalle stragi, disertarono, ma coloro
 che scelsero di rimanere nei ranghi fino alla fine si dimostrarono 
perfettamente all’altezza della fama delle SS tedesche.
 
