mercoledì 17 febbraio 2016

La Stampa 17.2.16
Bocciata la richiesta italiana
Non cambia il patto di Dublino
La Commissione Ue non riesce a trovare l’intesa sui migranti
di Marco Zatterin

La riforma del regolamento di Dublino si sta rapidamente impantanando. «Ci aspettiamo una "comunicazione" dalla Commissione prima del vertice di metà marzo», afferma una fonte diplomatica, segnalando un passo indietro rispetto alle intenzioni originali. Il Team Juncker aveva promesso una proposta legislativa per correggere la norma che impone allo Stato del primo sbarco di caricarsi la responsabilità di registrare e accogliere i rifugiati arrivati sulle sue coste. A più riprese, i leader dell’Ue hanno espresso la volontà di condividere l’onere, ma le cose sono cambiate. La redistribuzione dei migranti non avanza e Bruxelles registra un calo del desiderio di cambiare le regole. Così «si lavora a una comunicazione» per riaprire il dibattito fra le capitali. Vuol dire che, se va bene, ci vorranno mesi se non anni.
È il segno dei tempi. Difficili. Il regolamento di Dublino è stato smantellato dalla cronaca, dall’apertura totale di Berlino ai rifugiati siriani come dal fatto che, da oltre un anno, le navi europee che pescano i disperati nel Mediterraneo li scaricano in Italia e non li portano a casa. Il governo Renzi ne ha chiesto la riscrittura con vigore in più occasioni, legittimamente, visto che applicare l’intesa alla lettera contraddiceva l’idea delle quote di ricollocazione. Ora anche i francesi hanno bocciato l’idea di una redistribuzione automatica, unendosi al gruppo dei Paesi dell’Europa centro orientale che non vuole neanche un bambino di Aleppo. La solidarietà diventa merce rara in Europa spaventata dal populismo. E la Commissione ne prende atto.
«Molto dipende da cosa diranno al vertice europeo», assicura una fonte europea che rimanda al Summit che si apre domani a Bruxelles. Molto, in effetti, e non solo la questione di Dublino. Stasera sono a cena col presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, i leader di Croazia, Slovenia, Macedonia e Serbia. Da fine ottobre gli sherpa europei e quelli dei quattro balcanici dialogano settimanalmente in videoconferenza. «Serve a facilitare il coordinamento», spiega un addetto al dossier, denunciando la rapidità e la pericolosità dell’effetto domino: «In novembre un treno è stato bloccato dalla Slovenia e altri tre Paesi hanno chiuso le frontiere».
Adesso il problema è di maggiore portata. L’Austria ha annunciato l’imminente rinuncia a Schengen e il ritorno dei controlli anche ai valichi italiani, compresi Tarvisio, Brennero e Resia. Bruxelles vede i Paesi del gruppo di Visegrad - Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia - intenti a convincere la Macedonia a costruire un muro alla frontiera Sud, in modo da sbarrare la rotta balcanica alimentata «dall’inefficienza greca». Per la Commissione è fumo negli occhi, al massimo si può accettare una blindatura dall’altra parte, nella zona Ue, con gli uomini di Frontex. «Faremo di tutto per impedire che uno Stato terzo blocchi un Paese dell’Ue», spiega una fonte, preoccupata per le ripercussioni di una simile mossa. Tre, ne elenca. O la combinazione di tre: i trafficanti passeranno lo stesso; crescerà il numero degli spiaggiati in Grecia; si frammenteranno le rotte.
Quest’ultima possibilità rilancia uno scenario preoccupante per l’Italia. I migranti potrebbero tagliare dall’Albania e arrivare da noi, come negli anni Novanta. «Sono 50 miglia, no?», è la domanda retorica dell’alto funzionario. Per il quale, comunque, «non ci siamo ancora» e poi «riteniamo che le autorità italiane stia attentamente considerando l’ipotesi». Il caso macedone rischia pertanto di infiammare un vertice europeo che le fonti diplomatiche stanno cercando di ridurre a «ordinaria amministrazione» proprio perché si avanza su terreno minuto. Con l’aria che tira, sarà difficile evitare attriti vecchi e nuovi.