La Stampa 11.2.16
Piero Gobetti 1901-1926
L’eterno coetaneo, forever young
Moriva
il 15 febbraio di 90 anni fa il “prodigioso giovinetto”, maestro di più
generazioni Tra liberalismo e marxismo, ha insegnato che la rivoluzione
deve essere prima di tutto morale
di Maurizio Assalto
Quella
mattina di febbraio del 1926 il professor Umberto Cosmo era entrato in
aula, al liceo D’Azeglio di Torino, con l’aria grave e un giornale in
mano. C’era scritto che a Parigi era morto Piero Gobetti, il più
brillante dei suoi allievi di pochi anni prima al Gioberti. Aveva
lasciato una Torino innevata il 6 di quello stesso mese, in fuga dalle
vessazioni fasciste, per poter continuare a scrivere. L’11 si era
ammalato di una brutta bronchite, che si abbatteva su un fisico provato
dalle violenze squadriste e aggravava i suoi problemi cardiaci, il 13
era stato ricoverato in clinica, il 15, verso mezzanotte, si era spento.
Aveva 25 anni.
«Un’impressione che non mi si è più cancellata
dalla memoria», ricorderà Norberto Bobbio. Come non si sarebbe
cancellata dalla memoria dei suoi compagni della seconda A, tra gli
altri Leone Gizburg e Giorgio Agosti (mentre nella sezione B c’erano
Cesare Pavese, Massimo Mila, Vittorio Foa, Giancarlo Pajetta, Leonardo
Pestelli…). Nessuno di loro aveva mai sentito nominare Gobetti, eppure
la notizia della sua morte era stata per tutti come una scossa, la
scintilla di una presa di coscienza civile e politica. Che cos’aveva la
figura di quel «prodigioso giovinetto» (ancora Bobbio) per segnare così a
fondo, e in modo duraturo, una delle generazioni più straordinarie del
’900? Quel giovinetto che avrebbe insegnato ai grandi?
L’eredità
culturale e morale, certamente, l’idea che una rivoluzione, per essere
davvero tale, deve innanzitutto essere una rivoluzione morale. L’etica
calvinista del lavoro, la lezione di rigore, di serietà subalpina. Ma
prima ancora, a livello più epidermico, l’immagine stessa che oggi si
potrebbe definire «pop» - con «i lunghi capelli arruffati dai riflessi
rossi che gli ombreggiavano la fronte», come l’avrebbe tratteggiato
Carlo Levi -, lo spirito inquieto, la modernità (moderno allora come
oggi), la spasmodica apertura verso il nuovo. E il fascino dell’eroe che
muore giovane.
Una vita breve ma intensa, molte vite in una.
Figlio di modesti droghieri, a 17 anni si iscrive all’università e fonda
la sua prima rivista, Energie Nove (che ospita interventi di Croce,
Gentile, Einaudi, Mondolfo, De Ruggiero), a 20 presta il servizio
militare, a 21 appena compiuti si laurea in Giurisprudenza. Subito dopo
fonda La Rivoluzione Liberale, che si propone di formare «una classe
politica che abbia chiara coscienza delle sue tradizioni storiche e
delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla
vita dello Stato». Quindi sposa Ada, la fidanzatina del liceo, e fonda
la sua casa editrice, che ha nel logo il motto, in greco, «Che ho a che
fare io con gli schiavi?» e pubblicherà in tre anni 84 titoli, tra i
quali la prima edizione di Ossi di seppia di Montale. Intanto traduce
dal francese, dal russo, studia Dante e Leopardi, scrive saggi sulla
filosofia gentiliana, si entusiasma per l’occupazione delle fabbriche,
polemizza e si rappacifica con Gramsci, fino a collaborare come critico
teatrale al suo Ordine Nuovo. Viaggia in Belgio, a Londra, a Parigi, si
trasferisce da via XX Settembre 60 a via Fabro 6, dove oggi ha sede il
Centro a lui dedicato, e a 23 anni fonda la sua terza rivista, Il
Baretti, volto alla critica letteraria e artistica. Subisce
perquisizioni, sequestri, percosse, arresti, non si ferma. Alla fine del
’25 nasce il figlio Paolo, che potrà vedere per poco più di un mese.
Una
vita di corsa, a ritmi accelerati, quasi presagisse che il tempo gli
scarseggiava. Magmaticamente attraversata da slanci (la «scoperta» della
classe operaia, l’ammirazione per Lenin e Trockij),
contraddittoriamente tesa tra liberalismo e marxismo, autorappresentata
«aridità» razionalistica e fervori ideali, pulsioni futuriste e
giovanile titanismo. Gobetti forever young, eterno coetaneo. Piacerebbe
anche ai ragazzi di oggi.