Il Sole Domenica 7.2.16
Luigi Salvatorelli (1886-1974)
Vocazione all’indipendenza
Per
l’intellettuale, giornalista, tra i fondatori del Partito d’Azione, la
riflessione storica è una leva per l’educazione all’esercizio critico:
una raccolta di articoli ne documenta l’impegno
di Valerio Castronovo
«Non
avendo interessi da difendere né ambizioni personali da soddisfare,
possiamo permetterci di aver pazienza: la pazienza dello storico». Così
Luigi Salvatorelli spiegava come fosse maturata la sua vocazione di
studioso degli avvenimenti del passato; ma anche perché considerava la
riflessione storica una leva fondamentale per l’educazione all’esercizio
critico e, quindi, anche per una professione giornalistica all’insegna
dell’indipendenza di giudizio. Ciò di cui egli diede prova tangibile e
coerente lungo il suo itinerario nel corso del quale, insieme a un
intenso lavoro di ricerca e analisi in campo storiografico (che si
tradusse in alcune opere di particolare rilievo, più volte riedite, come
Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870 e Pensiero e azione del
Risorgimento), ebbe modo di affermarsi, fin dai suoi esordi nel primo
dopoguerra, come un sagace editorialista politico (fin quando il regime
fascista decretò nel 1925 la sua espulsione dal giornalismo).
Estimatore
di Giolitti (da lui considerato, per il suo indirizzo riformista, il
prosecutore della sapiente opera politica di Cavour) e collaboratore de’
«La Stampa» di Alfredo Frassati (di cui divenne condirettore
dall’ottobre 1921), Salvatorelli fu uno degli intellettuali che, per
primi, intuirono le tendenze profondamente eversive del movimento
fascista sin dalla sua comparsa di scena. E che s’impegnò pertanto, non
solo dalle colonne del quotidiano torinese, ma anche quale collaboratore
della «Rivoluzione Liberale» di Piero Gobetti (di cui peraltro non
condivideva l’apertura all’“ordinovismo” gramsciano) e aderente
all’Unione democratica nazionale di Giovanni Amendola, a contrastare con
vigore l’ascesa al potere di Mussolini. Tanto che, dopo aver ammonito
(insieme a Frassati) la classe dirigente liberale che era un autentico
abbaglio confidare in una legalizzazione del fascismo, cercò di indurre,
ancora nel gennaio 1925, gli “aventiniani” a fare ritorno in Parlamento
per trasformare la “protesta morale” per il delitto Matteotti in
un’energica iniziativa politica che schiodasse la Corona dalla sua
ambigua latitanza.
La crociana religione della libertà, che aveva
esercitato un forte ascendente sul suo noviziato (quale docente tra il
1918 e il 1921 di Storia del Cristianesimo nell’Università di Napoli),
divenne anche per Salvatorelli la principale fonte d’ispirazione ideale,
durante il ventennio fascista, per coltivare la fiducia in un riscatto
del Paese dalla dittatura. E contribuì a informare i suoi studi in
ordine all’interpretazione della storia d’Italia, intesa come storia di
un popolo nelle sue diverse manifestazioni sia spirituali sia civili e
politiche.
Tra i fondatori nel 1942 del Partito d’Azione, in
quanto auspicava che alla caduta del fascismo (di cui egli aveva
sottolineato anche le matrici piccolo-borghesi) facesse seguito
l’instaurazione di una democrazia repubblicana (a coronamento dei
postulati mazziniani) e una radicale trasformazione del Paese in chiave
libeal-progressista, Salvatorelli confluì nel 1947, allo scioglimento
del Pda, nella corrente di Parri e La Malfa (insieme a Guido De Ruggiero
e ad Adolfo Omodeo). L’anno dopo riprese la collaborazione a «La
Stampa», che durò poi ininterrottamente per oltre venticinque anni, sino
alla sua scomparsa nel 1974.
Un’antologia dei suoi articoli più
significativi, scelti e raccolti da Bruno Quaranta (autore di alcune
efficaci note introduttive) documenta ora tanto l’impegno e la coerenza
con cui Salvatorelli condusse le sue coraggiose battaglie contro
l’avanzata del fascismo, sia l’acume e l’ampiezza di visuali che
caratterizzarono, nel secondo dopoguerra e negli anni della Guerra
fredda, il suo magistero politico-culturale dalle pagine de «La Stampa».
Alla sua autorevolezza e all’attenzione che riscuotevano i suoi
editoriali concorse, unitamente a un’analisi esente sia da pregiudizi
che da reticenze, una prosa limpida e incisiva, che rifletteva
d’altronde la chiarezza di idee e la saldezza di convincimenti che da
sempre avevano costituito i suoi tratti distintivi.
Luigi Salvatorelli, La pazienza della storia, prefazione di Bruno Quaranta, Nino Aragno Editore, Torino, pagg. 248, € 15