Il Sole 9.2.16
Da Atene ad Aleppo
Il realismo dei mercati toglie alibi all’Europa
di Adriana Cerretelli
Tra la tragedia di Aleppo e quella di Atene corre un filo che rischia di scrivere la tragedia europea.
Cinquantamila
nuovi disperati in fuga da bombe e morte in Siria premono alle
frontiere della Turchia. Si aggiungono ai 2,5 milioni che già vi
risiedono, pronti a tentare la via del mare per raggiungere la Grecia e
da qui risalire attraverso i Balcani verso il Nord dell’Unione.
Germania
la meta preferita. Prostrata dalla crisi economico-finanziaria, da
tensioni sociali e rigore senza fine in cambio degli aiuti europei per
la sopravvivenza, la Grecia corre verso l’isolamento geo-politico.
Ufficialmente tutti, governi e Commissione Ue, si sbracciano per negarlo
ma i mercati li smentiscono spudoratamente.
Il crollo della Borsa
di Atene ieri è un segnale inequivocabile della crisi di fiducia nel
Paese e nel suo futuro europeo: fuori da Schengen e fuori dall’euro.
Dopo
la pausa estiva, il rischio Grexit torna a colpire con carica doppia.
Virtualmente letale. Ma la tempesta sui mercati non risparmia nessuno,
tanto meno l’Italia.
Chi salverà la Grecia questa volta? E chi salverà l’Europa da se stessa?
Nel
week-end i ministri degli Esteri Ue, insieme a quelli non–Ue dei
Balcani, hanno discusso di rinforzi da inviare ai confine greco-macedone
per sigillarlo chiudendo la strada ai profughi in arrivo da Sud.
La
Macedonia ieri ha annunciato il raddoppio del reticolato di 30
chilometri che la separa dalla Grecia. Che dunque potrebbe diventare un
immenso campo profughi abbandonato al proprio infausto destino tra
l’indifferenza di chi continua a spacciarsi come partner ma si comporta
altrimenti con l’alibi - come potrebbe mancare? - della comprovate
lacune elleniche su controllo e gestione delle frontiere nazionali, che
sono anche europee.
Ma chi oggi nell’Unione è a prova di reprimende su questo fronte?
«Presa
in mezzo tra la crisi politica di Angela Merkel in Germania e le
promesse, finora vacue, della Turchia di Tayyip Erdogan di limitare il
flusso dei rifugiati, la Grecia potrebbe finire stritolata dalle altrui
inadempienze più che dalle proprie.
Nel tentativo di rintuzzare in
casa le crescenti contestazioni della sua politica della porta aperta e
fermare il suo continuo calo di popolarità alla vigilia di tre
importanti elezioni regionali, il cancelliere ieri è andato ad Ankara,
per un secondo incontro con i turchi in meno di un mese, questa volta
con in tasca tre miliardi sonanti di aiuti Ue.
Per ora la Turchia
non sembra precipitarsi a fermare i flussi per fare un favore
all’Unione: sono partiti in 900mila l’anno scorso riversandosi in Grecia
per poi risalire verso la Germania. Né l’inverno ha finora rallentato
le partenze.
Forse anche per questo Merkel e il premier turco
hanno annunciato ieri che giovedì, alla riunione dei ministri della
Difesa atlantici, chiederanno il supporto della Nato per sorvegliare
l’Egeo.
Più passa il tempo nella sostanziale inazione e più la
crisi rischia di sfuggire di mano. Insieme alla tenuta dell’Europa. Alla
quale tutti, paradossalmente, chiedono concessioni, nazionali
naturalmente.
La Merkel ne ha bisogno dall’Unione, dai sui vicini e
dalla Nato per restare salda in sella. L’inglese David Cameron per
evitare Brexit. Il francese Francois Hollande per tornare ad esistere
politicamente. L’italiano Matteo Renzi per ottenere maggiori margini di
manovra sul bilancio. Idem per Portogallo e Grecia, mentre la Spagna
tenta tra mille difficoltà di formare il nuovo Governo. L’Austria
rivendica 600 milioni per coprire i costi sostenuti per i rifugiati. I
maggiori paesi dell’Est restano arroccati sul rifiuto di partecipare
alla loro riallocazione.
Mancano otto giorni al nuovo vertice dei
28 leader dell’Unione: nessuno può permettersi il lusso di un fallimento
ma le premesse di un successo oggi appaiono più che labili. La politica
continua a ostentare impotenza di azione e di leadership. Economia e
Borse ne risentono ma pagano anche incertezze e frenate in arrivo dal
mondo globale. In questo panorama desolante quando il presidente della
Bce Mario Draghi dà la scossa ai Governi su conti pubblici e riforme fa
impeccabilmente il suo mestiere (troppo spesso invano).
E quando i
governatori centrali di Francia e Germania insieme invocano maggiore
integrazione dell’eurozona e un euro-ministro dell’Economia per
promuovere la crescita economica a lungo termine, hanno ragione. Anche
se tutti purtroppo in questo momento parlano all’Europa dell’irrealtà.