domenica 7 febbraio 2016

Il Sole 7.2.16
Le insidie della politica dei due forni
di Paolo Pombeni


Ai tempi in cui il linguaggio politico non era meno disinvolto di oggi veniva definita «la politica dei due forni» (Andreotti dixit). È già stata ricordata varie volte per sottolineare una certa disinvoltura di Renzi nel comporre le maggioranze che gli potevano tornare utili per raggiungere i suoi obiettivi politici. È ritornata negli ultimi tempi, quando di fronte all’impasse in cui il governo si è cacciato in materia di unioni civili (ma soprattutto sulla possibilità della stepchild adoption) lo abbiamo visto muoversi con leggerezza fra la richiesta di sostegno al M5S e la compensazione ad Ncd dello sgarro con una manciata di posti al governo. Sarebbe piuttosto interessante chiedersi se questa tecnica, che ha radici piuttosto antiche, porti davvero ai frutti che ci si dovrebbero aspettare, cioè a far superare al sistema passaggi insidiosi promuovendone la stabilizzazione. Questo naturalmente a fronte di una mobilità che oggi va tenuta d’occhio di ora in ora.
In genere si fa risalire tutto alla tipicità della politica democristiana, che, da bravo partito di centro, andava un po’ con la destra e un po’ con la sinistra. Alcuni si sono spinti a sostenere che in fondo questo era «il partito della nazione», perché gli spostamenti sarebbero stati determinati dalla necessità di seguire le inclinazioni (chiamiamole bonariamente così) dell’opinione pubblica con cui non andava mai perso l’aggancio. Per la verità l’abitudine ai due forni non era esclusiva del partito scudocrociato: qualcuno ricorderà i socialisti che stavano al governo nazionale con la Dc e in tanti governi locali stavano col Pci.
La spiegazione secondo cui coi due forni è più facile stare in sintonia con un elettorato vasto è ingannevole e temiamo inganni anche alcuni strateghi del renzismo. È troppo facile pensare che la politica sia governata dal cinismo. A volte è indubbiamente così, ma su quei pilastri non è in grado di reggere quando si arriva di fronte a scelte davvero cruciali. Oggi Renzi riesce a barcamenarsi perché in fondo tutto il parlamento canta l’altro inno andreottiano: meglio tirare a campare che tirare le cuoia (perché tutti si aspettano che far cadere l’attuale premier sia l’anticamera di un’avventura i cui sbocchi sono imprevedibili). Ma quanto potrà durare?
Se capiamo bene, un po’ tutti pensano che convenga posticipare la resa dei conti a quando arriveranno i risultati dei famosi “test”: le elezioni amministrative prima e il referendum confermativo della riforma costituzionale poi. Le schermaglie parlamentari di oggi servirebbero solo per scaldare i cuori dei fan in vista di questi appuntamenti. Salvo che poi, questa volta Grillo insegna, di fronte da una opinione pubblica di cui non si riescono a decifrare bene gli orientamenti è difficile sottrarsi alla tentazione di scegliere posizioni sufficientemente ambigue per accontentare tutti.
Il problema è che nel perseguire questa tattica non ci si accorge che si stanno svuotando di significato le capacità di “disciplinamento” dello scontro politico che i partiti dovrebbero garantire. Quanto sta accadendo sul ddl Cirinnà è quasi esemplare. Lo scontro è stato lasciato in mano a forze esterne alla direzione politica dei partiti, emblematicamente rappresentate da due piazze che hanno fatto a gara nel proporre prospettive integraliste di segno opposto. I vari esponenti di partito sono corsi a farsi “adottare” dall’una o dall’altra scommettendo su calcoli elettorali la cui fondatezza è dubbia. Quel che al momento si lascia intravvedere al cittadino-elettore è tutto un gioco di specchi fra chi pensa di appuntarsi al petto la medaglia di una presunta “modernità avanzata” facendo passare il ddl più o meno invariato e chi pensa che vada benissimo lasciarlo passare (con opportune alte lamentazioni, è ovvio), perché questo consentirà di andare poi al solito referendum in cui alzare un opportuno polverone. E poi c’è chi tenta di accontentare gli uni e gli altri con la scappatoia del voto di coscienza.
Al governo può bastare la constatazione che tanto alla fine “non rischia” alcuna sfiducia parlamentare? Sembra una prospettiva miope, perché il risultato sarà che la maggioranza delle persone si consoliderà nella sua visione di una politica incapace di affrontare i problemi proponendo soluzioni equilibrate, una politica che tale è perché interessata più a mantenere le poltrone che a dare un indirizzo al paese.
Possiamo dire sommessamente che è una prospettiva assai rischiosa? Al governo e all’Italia non mancano problemi molto seri rispetto ai quali è assolutamente necessario disporre di un quadro politico responsabile e di un contesto di opinione pubblica capace di trasmettere forza e supporto alla nostra presenza internazionale. Il contesto economico non esattamente esaltante nel quale ci muoviamo dovrebbe pur essere noto, oppure qualcuno pensa che il discorso di Mario Draghi alla Bundesbank sia nato da una distrazione che l’ha portato a buttare lì qualche parola in libertà? La situazione in Libia, e più in generale in Medio Oriente è portata costantemente alla nostra attenzione e certo chiede al nostro paese una iniziativa che non può esaurirsi in alati discorsi di grande prospettiva da proporre in questo o quel summit. La situazione interna alla Ue non è certo stabilizzata, e non è solo questione di scontri verbali fra chi solletica la pancia del proprio elettorato nazionale e chi cerca di farsi meriti davanti alle superstiti tecnocrazie sparse fra Bruxelles e il Nord Europa. Il governo dei flussi migratori è ben lontano dall’aver trovato strumenti e centri di coordinamento efficaci ed efficienti.
Difficile immaginare che un paese possa affrontare questi nodi con un parlamento debilitato dal segno della transumanza dei parlamentari fra le varie sigle e con quello che è il partito-perno del sistema attuale, cioè il Pd, che non è in grado di supportare con decisione il suo leader nella costruzione di una efficace sintesi politica e che al tempo stesso non ha alcuna forza per poterlo sostituire proponendo una prospettiva diversa.