giovedì 4 febbraio 2016

Il Sole 4.2.16
Yen e yuan, il circolo vizioso che manda in tilt i mercati
di Maximilian Cellino

Qualcuno sui mercati aveva probabilmente sottostimato la portata globale della mossa con cui venerdì scorso quando la Banca del Giappone aveva a sorpresa portato sottozero i tassi applicabili sui depositi bancari. O forse in una misura tanto straordinaria quanto estrema (per non dire disperata) si erano voluti vedere soltanto gli aspetti positivi, come dimostra l’immediata euforia delle Borse che poi si è rivelata così effimera.
Eppure è apparso piuttosto chiaro già da allora che l’obiettivo di Tokyo fosse soprattutto mettere un freno all’eccessivo apprezzamento dello yen, reo di aver riguadagnato il 7,5% sul dollaro dai minimi di giugno. Ed era altrettanto evidente che la decisione della BoJ avrebbe scatenato reazioni a catena. Per la verità in prima battuta si pensava alla Cina, anche perché lo yen ha un peso vicino al 15% nel Renminbi Index che la Banca del Popolo tiene in considerazione come paniere valutario. Ma da Pechino (che comunque ha continuato a inondare i mercati di liquidità) non sono arrivate decisioni così dirette, almeno per il momento.
Si è mosso il peso massimo invece, cioè la Federal Reserve statunitense e lo ha fatto in modo ovviamente indiretto, perché nessuno ha formalmente mai dichiarato né combatte quella che molti in modo forse un po’ roboante amano definire «guerra delle valute». Le parole con cui il Governatore della Fed di New York, William Dudley, ha dato il via alle vendite sul biglietto verde, quel suo avvertire che un rafforzamento della valuta potrebbe esercitare «conseguenze significative» sull’economia Usa, hanno però un obiettivo preciso e lo si è visto ieri.
La prima cosa che balza all’occhio è il fatto che lo yen sia tornato sui livelli precedenti alla misura della BoJ, e ci ricorda che spesso quello delle svalutazioni competitive finisce per diventare un classico gioco a somma zero. Ma l’elemento più importante, ai nostri occhi, è il balzo dell’euro oltre 1,11 dollari, ai massimi dallo scorso autunno e ciò che più conta al di sopra di quella che negli ultimi tempi gli analisti avevano identificato come «soglia di sofferenza» per la Banca centrale europea.
Lecito a questo punto attendersi da Mario Draghi una reazione forse più marcata di quella che già il mercato sconta (cioè una sforbiciata del tasso su depositi di 10 punti base a marzo e al 90% un taglio cumulativo di 25 centesimi da qui a fine anno): una reazione indiretta, si intende, perché come più volte lo stesso presidente Bce ha ribadito, il tasso di cambio non è un obiettivo per l’Eurotower.
Altrettanto lecito però chiedersi quanto a lungo potrà durare un circolo yen-dollaro-euro (con il convitato di pietra yuan) che rischia più che mai di diventare vizioso in un momento in cui la luna di miele fra il mercato e quelle Banche centrali che hanno pilotato a suon di liquidità la ripresa dei listini nei mesi scorsi sembra giunta ormai al termine.