Il Sole 3.2.16
Pa. Incontro decisivo tra Aran e sindacati per il rinnovo dei contratti
Scuola, sanità, enti locali e Stato: oggi il tavolo sul taglio ai comparti
di G.Tr.
Tanti
nodi tecnici ancora da sciogliere, ma la volontà politica di definire i
pilastri dell’accordo per evitare di essere chiamati a rispondere del
mancato riavvio delle trattative sul rinnovo dei contratti nel pubblico
impiego.
È con queste premesse che oggi pomeriggio Aran e
sindacati torneranno a confrontarsi per definire le modalità con cui
ridurre a quattro i comparti pubblici, premessa indispensabile fissata
dalla riforma Brunetta per consentire il rinnovo dei contratti.
Di
riunioni sul tema finora ce ne sono state molte, ma sono due fattori a
far prevedere un’accelerazione: il lungo confronto gestito dall’Aran ha
portato a definire la strada dei quattro comparti, dopo una prima
ipotesi di riduzione a tre abbandonata in fretta per impraticabilità, e
le prese di posizione del ministro Marianna Madia, che nei giorni scorsi
aveva motivato proprio con l’obbligo di riduzione preventiva dei
comparti il mancato riavvio della macchina contrattuale, hanno
accelerato la ripresa del confronto.
L’architettura di fondo del
nuovo pubblico impiego prevede quattro comparti definiti per
“specificità”, cioè la scuola, la sanità, i “poteri locali” e infine
quelli centrali. Da decidere è la collocazione di università, ricerca e
alta formazione, che dovrebbero finire insieme alla scuola nel «comparto
della conoscenza» a meno di non rientrare, secondo un’ipotesi al
momento meno probabile, nel comparto nazionale (il problema non riguarda
i professori universitari, che come i magistrati rientrano nel
personale di diritto pubblico). Alla sanità potrebbero trasferirsi anche
i “regionali” già attivi nel settore.
La geografia è però solo il
problema più superficiale, perché le questioni sostanziali si
nascondono al suo interno. La prima riguarda direttamente le buste paga
dei dipendenti pubblici. Il compartone nazionale riunirà infatti
amministrazioni molto diverse fra loro, dai ministeri alle agenzie
fiscali fino agli enti pubblici non economici, caratterizzate da livelli
retributivi molto distanti e da regole parecchio differenziate nella
distribuzione fra stipendio tabellare e accessorio, nelle regole della
produttività e così via. Comparto unico, però, nella Pa significa anche
contratto nazionale unico, e i 300 milioni finora messi sul piatto per i
nuovi contratti non permettono nemmeno di ipotizzare un riallineamento
immediato che costerebbe miliardi a meno di non voler tagliare le buste
paga delle amministrazioni oggi caratterizzate da retribuzioni più
“ricche”. L’alternativa studiata in queste settimane dall’Aran prevede
allora di avviare un allineamento graduale, che parte dalle regole base
del rapporto di lavoro come la disciplina di ferie e malattie: in questa
articolazione flessibile e progressiva, i comparti sarebbero poi a loro
volta articolati in sezioni per salvaguardare le tante specificità
professionali presenti nelle amministrazioni.
La strada non è
semplice, come mostra ad esempio l’allarme lanciato in autunno dal
direttore delle Entrate sui rischi legati alla fine del comparto
autonomo delle agenzie fiscali. Ancora più in allarme sono i sindacati
non confederali, che sono rappresentativi in settori specifici della Pa e
nei nuovi comparti perderebbero il posto al tavolo delle trattative e
alla divisione di permessi e distacchi.
Per evitare una tagliola
immediata che rischia di produrre un fiume di ricorsi, si studia
l’ipotesi di un breve periodo ponte per consentire alle sigle “minori”
di allearsi con quelle più grandi, che superano le soglie minime (5% dei
voti e delle deleghe) anche nei comparti più grandi. Più difficile
appare la strada alternativa, che congelerebbe l’elenco delle sigle
rappresentative fino al 2018, quando sono in programma le nuove elezioni
delle Rsu.