Il Sole 27.2.16
Pechino promette stabilità sullo yuan
di Rita Fatiguso
Shanghai.
L’arma cinese per sedare e rassicurare i mercati è il Governatore della
banca centrale Zhou Xiaochuan, che ieri ha vissuto una giornata
intensissima . Il numero uno della People Bank of China ha rianimato i
listini dopo un giovedì nero, purtroppo senza dissipare i dubbi che
avvolgono le politiche di Pechino ormai da mesi.
Il numero uno
della People Bank of China ieri ha vissuto una giornata intensissima
(briefing con Fondo monetario, conferenza stampa di apertura del G-20
dei ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche centrali,
incontro con gli investitori dell’Iff con i quali ha dialogato, è la
prima volta che succede, in inglese) spesa a rianimare le borse e
soprattutto a dissipare i dubbi sullo stato di salute della Cina. Con la
voce chioccia di sempre, l’aggettivo prudent ripetuto a scadenze fisse,
a segnare ogni passaggio chiave del suo discorso, il Governatore della
PboC ha dimostrato di essere davvero un intangible asset, come ama
definirlo il suo sponsor, il presidente Xi Jinping.
Zhou Xiaochuan
ha rianimato i listini dopo un giovedì nero, purtroppo senza dissipare i
dubbi che avvolgono le politiche di Pechino, ormai da mesi. Alla destra
il fido Yi Gang, che ha lasciato la guida di Safe, l’agenzia che vigila
sui movimenti di valuta estera, per tornare a fare il deputy di PBoC,
Zhou mentre parlava faceva lievitare l’indice Composite di Shanghai che
ha guadagnato subito l’1,08%, a 2.770,87 punti, Shenzhen l’1,10%, a
quota 1.757,72. La Borsa di Shanghai, comunque, ha terminato gli scambi
in rialzo dello 0,95%, a 2.767,21 punti, mentre quella di Shenzhen manca
il rimbalzo nell’ultima parte della seduta, cedendo lo 0,12%, a quota
1.736,54.
Poi Zhou riesce anche a convincere il mondo che la Cina
gode di buona salute. Secondo Zhou infatti c’è ampio spazio per far
crescere la fiducia del mondo nella seconda economia e sul fronte
monetario ci sono ancora margini di manovra.
Dal Fondo monetario
arrivano nel frattempo le voci di una richiesta, pressante, al G-20 e
alla Cina, in particolare, a lavorare sul fronte dello stimolo della
domanda e delle riforme strutturali, peraltro al centro di un lungo
dibattito in mattinata. L'Fmi poi aggiunge che la crescita ci sarà ma a
patto che si prendano decisioni precise.
«I rischi sono alti, ma
vediamo la crescita, ma la Cina dovrebbe crescere tra il 6 e il 6,5 per
cento, gli effetti delle politiche monetarie, in generale stanno
svanendo”, secondo Christine Lagarde. Pechino, invece, parla di 6,5-7
per cento.
Zhou ha comunque affrontato anche il tema del deficit,
sollevato da un rapporto interno di PBoC secondo il quale il tetto
potrebbe essere portato anche oltre il 4 per cento. Sì, ci potrebbero
essere deficit più elevati, anche a livello temporaneo.
La nostra
politica monetaria è prudente e relativamente accomodante, dice. Stiamo
passando dalla politica monetaria a una basata sui prezzi. Non c’è
pericolo di svalutazione dello yuan, né pericolo di crisi di liquidità,
il livello di risparmio cinese è alto, al 50% del Pil. Anche l’andamento
del commercio estero è caratterizzato da un notevole surplus. Insomma,
un quadro idilliaco che non combacia con la realtà.
Tanto è vero
che la stessa PBoC diffonde in conferenza stampa un documento con
domande e risposte su questioni molto dettagliate, la maggior parte
delle quali in risposta a una serie di problemi sollevati negli ultimi
tempi da media e addetti ai lavori e rimasti senza risposta ufficiale.
Tra
gli interrogativi più pressanti che trovano risposta rientrano
l’aumento a gennaio di 2 trilioni di yuan, che PBoC imputa al nuovo
Capodanno cinese, ai viaggi e a quant’altro collegato alla festa più
importante dell’anno in Cina. Non è un incremento anomalo, diamo
importanza – dice il Governatore - alla domanda aggregata e monitoriamo
attentamente i cambiamenti nel leverage.
Sì, la Cina interverrà
sulle riforme strutturali dal lato della domanda. Tutto questo per
raggiungere una sufficiente e sostenibile crescita. Nel 2005 lo yuan è
stato sottoposto a un regime di oscillazione, oggi sempre più collegato a
un paniere di valute, se l’ingegneria è chiara – ha detto lo stesso
Zhou – gestire in realtà la situazione non è sempre altrettanto facile.
Al
momento la Cina è stabile, vanta un consistente surplus, la crescita
relativamente sostenuta, l’inflazione bassa, in quanto agli outflows,
ebbene, dal 2002 al 2014 le riserve sono cresciute oltre 300 miliardi di
dollari a 4 trilioni circa di dollari e gli outflows rappresentano un
terzo. Tuttavia i movimenti non dovrebbero sorprendere, sono in linea
con la ristrutturazione dell’economia. A dicembre si è trattato di 3,33
trilioni mentre nel 2015 si è verificato un notevole capital outflow ma
Zhou sostiene che molti fattori positivi hanno contribuito al declino
delle riserve, tra cui perfino la strategia Go global delle aziende
cinesi e i movimenti di import-export.