sabato 27 febbraio 2016

Il Sole 27.2.16
Il Cairo risponda alla domanda fondamentale
di Ugo Tramballi

Colpo di scena, edizione straordinaria, svolta clamorosa nelle indagini: Giulio Regeni era un giovane ricercatore, viveva al Cairo dove studiava i sindacati egiziani.
Aveva quasi concluso il suo lavoro e stava per ripartire, per proseguire altrove i suoi studi, avere altre esperienze, conoscere nuove realtà e altre fette del mondo. Perché come una buona parte dei giovani della sua generazione, il mondo era la sua casa.
Ai più sembreranno notizie ovvie, l’ennesimo tentativo giornalistico di vendere come scoop una non notizia. Ma questo è stato fatto da molti, per settimane. Ora sappiano che Giulio non era un agente segreto, non era al soldo di una potenza nemica, di una multinazionale o dei nostri servizi. E nemmeno, come insinuavano gli egiziani, un drogato che era stato ucciso per non aver pagato il suo pusher, un latin lover assassinato da un rivale o uno sbadato che è stato investito da un’auto mentre attraversava un’autostrada.
La disinformazione non l’hanno fatta solo gli egiziani: loro tendevano – e continuano a farlo – a banalizzare Giulio e la sua morte; noi, una buona parte della stampa italiana, a trasformarlo in un personaggio misterioso, una pedina e/o protagonista di una teoria del complotto internazionale contro l’Italia e i suoi interessi economici in Egitto.
Il “dato certo” emerso ieri dalle indagini della Procura di Roma ci restituisce il vero Giulio Regeni: è il minimo che gli si dovesse. Giulio non faceva uso di sostanze stupefacenti e a giorni lo confermerà in via definitiva il referto dell’indagine neroscopica. Ma la cosa più importante – lo scoop struggente che dovrebbe commuovere tutti e far provare un senso di colpa ad alcuni – è che Giulio «faceva una vita sostanzialmente riservata, trascorrendo ore in chat con la sua ragazza ungherese e comunicando via mail con la famiglia». Potreste immaginare un ragazzo più normale di così? Quanti di noi hanno figli che studiano all’estero, curiosi come Giulio, e che fanno esattamente le stesse cose, dedicando logicamente più tempo alla fidanzata e meno ai genitori?
Giulio, dicono ancora i giudici italiani, è stato assassinato a causa delle sue ricerche accademiche. La visione del materiale sul suo computer che i genitori erano riusciti a prendere nella sua casa del Cairo e portare in Italia dimostra che le sue ricerche non sono mai uscite dall’ambito universitario. Regeni studiava i sindacati indipendenti che oggi in Egitto sono l’unica opposizione attiva. I giovani di piazza Tahrir sono già tutti in galera. Con i sindacalisti il regime sta più attento perché possono paralizzare le fabbriche necessarie per la ripresa economica e dell’occupazione nel Paese. Il giovane italiano è stato torturato fino alla morte perché i suoi aguzzini volevano estorcere informazioni che lui non poteva avere perché era solo un giovane studioso: uno stato anagrafico e una categoria che gli apparati di sicurezza egiziani con licenza di uccidere, detestano.
La Procura di Roma ha fatto chiarezza su alcune cose importanti. Ma non potrà farla su quella più importante, a questo punto: scoprire chi ha ucciso Giulio e chi ha dato l’ordine di farlo, se un ordine c’è stato. A questa domanda finale non può dare risposta la nostra squadra che indaga al Cairo, resa cieca dalla metodica, scientifica e indefessa assenza di collaborazione delle autorità egiziane. Né intendono darla gli inquirenti del Cairo i quali, più che indagare, attendono ordini dal loro governo.