sabato 27 febbraio 2016

Il Sole 27.2.16
Il test di Salvini a Roma per aprire i gazebo al mondo della destra
di Lina Palmerini

Cade anche a destra il muro del “no” alle primarie. Comunque vada l’iniziativa dei banchetti leghisti a Roma per affidare ai cittadini la scelta del candidato sindaco, si apre una breccia in un mondo che aveva sempre lasciato a Berlusconi l’ultima parola. Si ricordano ancora i manifesti di Giorgia Meloni che aveva creduto alle primarie del centro-destra – e che non arrivarono mai – mentre ora Salvini passa alle vie di fatto senza chiedere permesso al Cavaliere. Anzi. Il risultato potrebbe anche essere quello di smontargli la candidatura di Bertolaso – così fortemente voluta dal leader di Forza Italia – e dividere la destra in nome di un interesse tutto leghista. Quello di tentare un radicamento a Roma, a dispetto del partito della Meloni e con l’ambizione di prendere voti a sinistra nelle borgate romane.
Da un lato si potrebbe dire che è inevitabile il contagio delle primarie anche nel campo del centro-destra. In fondo sono rimasti soli. Il Pd da tempo ricorre ai gazebo per la scelta dei candidati, i 5 Stelle usano il web con meno successo di popolo ma pur sempre seguendo un principio di selezione affidata agli iscritti. Quanto siano manipolati i dati non è chiaro ma comunque vale un modo di procedere che finora è sempre stato rinnegato dal mondo berlusconiano. Dunque, la mossa di Salvini scardina un metodo, quello delle cene ad Arcore o a Palazzo Grazioli, in cui solo i leader avevano facoltà di scelta senza che i loro elettori avessero parte in commedia. Fin dove porterà questa breccia non è chiaro perché sarà proprio il test di Roma – il successo o l’insuccesso – a verificare se il metodo fa altrettanto presa tra chi vota a destra.
Quello che è certo è che non c’è stata una folgorazione di Salvini per i gazebo. Il suo è un calcolo meramente politico nel senso che i banchetti sono stati soprattutto un modo per il leader leghista di fare i suoi giochi smarcandosi dagli alleati. E soprattutto senza il vincolo di Berlusconi. Alleanze che ha voluto variabili come si vede dal patto di Milano, teatro di una mossa ipocrita quanto opportunista dei leghisti. Dal «mai con Alfano», pronunciato da Salvini in tutti questi mesi, si è passati al «mai sul palco» con Alfano che è un po’ una messinscena per non testimoniare con un’immagine una giravolta politica.
Che in Lombardia il Carroccio abbia più bisogno del centro-destra è evidente per due ragioni. La prima è che Milano deve rispecchiare l’alleanza che già esiste in Regione e che sostiene Maroni. La seconda – e più importante ragione – è che bisogna reggere l’urto delle inchieste sulla sanità lombarda. Ieri è stato fermato a Miami quello che è considerato il socio in affari del leghista Fabio Rizzi, Stefano Lorusso, ma è chiaro che la storia dominerà la campagna elettorale a Milano. Dunque, in terra lombarda non è opportuno dividersi dal centro-destra con iniziative personalistiche visto che già il Pd e i 5 Stelle spareranno a zero sugli affari di esponenti della Lega. Finire pure nel tritacarne del fuoco amico sarebbe sciocco.
A Roma, invece, è un’altra storia. C’è un forte bacino elettorale di destra ma, come dimostrano i sondaggi, non si riconosce nella candidatura di Bertolaso. È uno spazio di opportunità di Salvini per radicarsi nella Capitale a spese di Forza Italia e di Fratelli d’Italia della Meloni. Sempre che i romani abbiano dimenticato e superato gli slogan con cui la Lega si è affermata. A cominciare da “Roma ladrona”.