mercoledì 24 febbraio 2016

Il Sole 24.2.16
La coerenza di un presidente
La lotta al terrorismo della società civile
di Ugo Tramballi


Non sarà ricordato come un Roosevelt, un Nixon e nemmeno come Ronald Reagan, i presidenti che hanno creato e rafforzato il primato americano nel mondo. Ma coerente sì: rispetto alle cose promesse in politica estera e date le priorità in quella domestica, Barack Obama sarà almeno ricordato come un presidente coerente.
È disputabile che la chiusura della prigione di Guantanamo sia esattamente una decisione che riguarda la politica estera. Presa alla vigilia della storica visita di un presidente americano a Cuba, voleva forse essere un gesto di ulteriore distensione verso il regime di Raul Castro. In realtà a Cuba la restituzione della baia e la chiusura della base militare, interesserebbe più del campo di detenzione: anche se, con il veloce disgelo in corso, forse l’enclave americana nell’isola non è più percepita come una ferita all’orgoglio della rivoluzione.
Il segnale che Obama ha voluto dare era tuttavia all’America. Per quanto pericolosi, fondamentalisti, violenti e incapaci di redimersi siano gli ultimi detenuti, Guantanamo è un lager che non sfugge solo a qualsiasi convenzione internazionale: è fuori dalle stesse norme giuridiche americane. La sua extraterritorialità non valeva solo per i cubani che non possono avvicinarsi al suo filo spinato: era fuori anche dagli Stati Uniti, dalle sue istituzioni e dalle sue consuetudini.
Forse un lager è ammissibile in Corea del Nord, e le prigioni trasformate in camere di tortura sono la norma per il regime egiziano. Ma non negli Stati Uniti. Più prima che dopo, la lotta al terrore doveva essere riportata dentro i canoni di una società civile occidentale. Il radicalismo islamico continua a essere un pericolo concreto. Oggi è anche più difficile da individuare e anticiparne le mosse: i lupi solitari si sono già fatti vivi a Boston e in California, perfino nei campus delle università del Sud si scoprono giovani attratti dal messaggio dell’Isis.
C’è la semplice soluzione offerta da Donald Trump: fuori i musulmani dagli Stati Uniti e muri altissimi per tutti gli altri. Ma in America come in Europa, esistono solo soluzioni difficili e a volte dolorose. In ogni caso Guantanamo non serviva ad alcuno scopo, rispondeva a un bisogno di sicurezza più inconscio che reale. Come gli asfissianti controlli di sicurezza all’aeroporto di Tel Aviv, Gtmo esisteva più per rassicurare i controllori che per combattere il terrorismo.
In tempi di campagna elettorale e alla vigilia di un super Tuesday, la decisione animerà il dibattito: sarà presa come un’altra prova di debolezza di un presidente smidollato ai tempi del “war on terror”, l’enfatica definizione, sinonimo di petto in fuori e obiettivi differenti da una lotta efficace al terrorismo. Come se gli ultimi detenuti di Guantanamo stessero per essere lasciati liberi di passeggiare per i marciapiedi di Broadway, e non rinchiusi in carceri di massima sicurezza dalle quali non si fugge facilmente come dalle messicane.
Anche fuori dall’America la decisione di chiudere Guantanamo sarà giudicata male da molti: gli stessi che hanno criticato Obama per debito d’interventismo in Siria ma che già erano pronti a condannarne il bombardamento, quando il presidente aveva minacciato di farlo ai tempi degli arsenali chimici di Assad. Perché Guantanamo è anche politica estera. Coerente con l’inizio, alla fine del suo doppio mandato Barack Obama non nasconde di provare una scarsa attrazione per il Levante, dichiaratamente declassato a zona priva d’interesse strategico per il futuro americano. Il suo storico discorso all’Università del Cairo, nel 2009, voleva normalizzare le relazioni con il mondo arabo e segnare la fine del tragico presenzialismo di George Bush: con quel messaggio l’America faceva un passo indietro dalla regione. Ed è innegabile che l’abbia fatto.
Non ci sono stati altri bombardamenti né truppe sul campo, eccetto quelli mirati e limitati contro obiettivi terroristici. C’è stata invece diplomazia con l’Iran, anche se incompleta e soprattutto incompresa. La coerenza di Obama in quel poco che gli interessava del mondo è stata nel chiudere con un passato che pretendeva di restare presente. Come il riavvicinamento a Raul Castro e come la chiusura di Guantanamo. Casualmente ma suggestivamente entrambi nella stessa isola del Caribe.