Il Sole 17.2.16
“Economia di mercato”
Quello «status» serve solo a Pechino
Una
crescente divergenza di vedute, da un decennio, sembra allentare i
rapporti fra Washington e l’Ue. Com’è evidente anche nella questione
della concessione dello status di economia di mercato alla Cina. Gli Usa
hanno già espresso la loro contrarietà, mentre la Commissione europea
appare più favorevole anche se ogni decisione è stata, per ora,
rinviata. Malgrado sia entrata nella Wto nel 2001, alla Cina è ancora
negato lo status di economia di mercato da Usa e Ue per il ruolo del
governo di Pechino nel manipolare i tassi di cambio, la protezione delle
imprese di Stato e il dumping dei beni immessi nel mercato globale.
La
Cina, da quando ha iniziato la “politica della porta aperta” nel 1978,
ha mostrato di possedere una vera attitudine nel giocare gli interessi
dei paesi europei gli uni contro gli altri. Certo, per Pechino non sono
mancate le delusioni, ma nell’ultimo decennio ha stabilito dialoghi
strategici separati con Regno Unito, Germania e Francia. Inoltre, ha
puntato sui buoni rapporti con l’Europa per ridimensionare la supremazia
americana e ridisegnare un ordine mondiale multipolare. Dopo il
massacro di Tienanmen gli europei intensificarono i rapporti con la Cina
per aiutarne lo sviluppo e agevolare comuni obiettivi commerciali.
Pechino ha avuto nell’Europa la sua principale fonte di tecnologia. Nel
2004 gli Stati Uniti furono sorpresi dall’intenzione di Francia e
Germania di togliere il bando sull’export di armi alla Cina, poi
accantonata. Più recentemente Washington ha biasimato Berlino per
l’enorme surplus commerciale, accusando la Germania di agire come la
Cina d’Europa. Anche l’adesione degli europei all’Aiib a guida cinese ha
trovato impreparati gli Usa.
Il punto è che la Commissione
europea e i paesi europei competono tutti per assicurarsi gli ingenti
investimenti cinesi. A cominciare dal Regno Unito. Londra si è
assicurata il privilegio di divenire la prima piattaforma commerciale in
yuan favorendo l’internazionalizzazione della moneta cinese. Per
Pechino, il Regno Unito può vantare un’eccellente industria dei servizi,
un importante settore finanziario e immobiliare. Ma c’è l’incognita
Brexit a minarne il ruolo globale. Quanto alla Germania, si tratta della
più importante partnership cinese in Europa. I due paesi hanno
sviluppato relazioni rilevanti in settori come automobili, trasporti,
energia. Come ha dichiarato il presidente Xi Jinping, il ruolo tedesco è
stato fondamentale nel rendere il “made in China” più simile al “made
in Germany”. Il commercio con la Cina ha aiutato Berlino a resistere
alla crisi finanziaria e a consolidare la posizione dominante
nell’Eurozona. Inoltre la Germania ha accesso a molte tecnologie e
industrie che la Cina vuole. Per parte sua, Parigi ha i rapporti
postcoloniali di cui la Cina ha bisogno in Africa. La Francia fu il
primo paese occidentale a stabilire piene relazioni diplomatiche con la
Cina comunista nel 1964 e oggi sta sviluppando una nuova partnership con
Pechino nel continente africano, oltre che mirando ad attrarre cospicui
capitali cinesi. Peraltro, le restrizioni europee all’export consentono
solo un accesso limitato ai “dual-use items”, per gli usi civili e
militari, come il nucleare e l’elettronica. E ciò contribuisce a un
certo disincanto nelle relazioni commerciali sino-europee.
Intanto,
la Cina ha espanso le sue ambizioni economiche in una regione
strategica per la sicurezza europea come il Medio Oriente. Malgrado il
rallentamento della sua economia, si prevede che la Cina diventerà il
maggior consumatore di energia mondiale entro il 2030 con una domanda di
greggio fornito in gran parte dai paesi mediorientali. L’espansione
degli interessi economici cinesi crea nuove vulnerabilità. Non a caso
Pechino ha accresciuto il proprio coinvolgimento nei colloqui sul
nucleare iraniano dopo l’export illegale di prodotti sensibili per la
proliferazione nucleare da parte di broker con base in Cina. Secondo
l’Economist, l’economia cinese non sta solo rallentando, ma è
debolissima e si teme che il peggio debba ancora venire. Solo Internet
(ossia il 2,5% del Pil cinese) cresce. Ciò suscita inquietudini e
interrogativi, giacché, nel 2015, la Cina era il 15% del Pil mondiale e
la metà circa della crescita globale. Di fatto, la spesa governativa
sembra tenere a galla l’economia cinese, e ciò con buona pace dei
propositi - annunciati nel 2013 - che il mercato avrebbe giocato un
ruolo sempre più decisivo.
In questo scenario, i rapporti fra Ue e
Cina sono a una svolta. L’Europa, per la sua debolezza e l’allentamento
dei legami transatlantici, potrebbe non assolvere più la funzione di
contrappeso dell’unilateralismo americano auspicata da Pechino. Tanto
più se la Cina continua a restare fuori dai maggiori accordi
commerciali, come il Tpp, mentre sulla scena globale imperversano bassa
crescita e volatilità di mercato.
Mai come oggi America ed Europa,
che condividono gli stessi interessi e valori fondamentali, hanno
bisogno l’una dell’altra per affrontare i tanti problemi del mondo
ancora da risolvere. Ma una visione comune su come dovrebbe essere il
nuovo ordine mondiale, comporta anche convertire gli interessi comuni in
azione collettiva e, perciò, non concedere per miopia politica lo
status di economia di mercato al capitalismo di Stato di Pechino.