Il Sole 17.2.16
Nuovi business. Cina, e-commerce senza confini
Si apre un periodo di grandi opportunità anche per i prodotti del made in Italy
Città pilota per le vendite online da piattaforme all’estero
di Rita Fatiguso
PECHINO
Il crossborder e-commerce fa gola. I parlamentini regionali si sono già
mobilitati: le città cinesi che chiedono una Free trade zone modello
Shanghai si moltiplicano, anche in vista della plenaria del Parlamento
che dovrà prendere decisioni importanti per l’economia cinese, in primis
l’adozione del nuovo piano quinquennale.
Si apre un’era di
strenua competizione a livello locale nell’attrazione del commercio
crossborder, una prova generale di efficienza che farà bene soprattutto
all’e-commerce che in Cina vanta numeri monstre: la piattaforma Taobao
conta, da sola, cinquecento milioni di iscritti, 60 milioni di visite al
giorno, 48mila prodotti venduti ogni minuto, 1,47 milioni di negozi
online. Come è emerso in un incontro dedicato al tema organizzato da
Camera di commercio e Ice Pechino nell’Ambasciata italiana, nel periodo
gennaio - giugno 2015 l’e-commerce, in pieno boom, ha fatturato 2mila
miliardi di renminbi (+ 42,8% sullo stesso periodo dell’anno
precedente).
Attualmente esistono alcune città pilota per il
crossborder e-commerce (Shanghai, Chongqing, Hangzhou, Ningbo,
Zhengzhou, Guangzhou, Shenzhen, Tianjin, Fuzhou, Pingtan e Hangzhou),
che è partito anche in diverse Ftz con la previsione di standard e
procedure agevolate per pagamenti, logistica, sdoganamento, rimborsi
fiscali e cambio valuta. Tra i vantaggi la possibilità di esporre e
vendere la merce nelle zone speciali, la dichiarazione di importazione
successiva alla vendita, il rilascio immediato della merce all’arrivo
della merce nelle Pilot Ftz, la ri-esportazione senza l’intervento delle
autorità doganali, i benefici previsti per acquisti ad uso personale.
Per
poter operare legalmente, un sito internet deve ottenere una licenza
Internet Content Provider (ICP); gli investitori stranieri possono
vendere i propri prodotti in siti web ospitati su server offshore ma i
siti dovranno essere in lingua cinese e collegati a sistemi di pagamento
con carta di credito o altre piattaforme di pagamento (Alipay o
paypal). La tempistica di spedizione e le questioni doganali di
importazione (spese di spedizione, dazi e tasse) diventano cruciali. I
siti web su server al di fuori della Cina non possono ottenere la
licenza ICP e possono incappare nella censura. Insomma, diventa
importante capire come funzionano le piattaforme, tanto più che resta
aperto il capitolo scottante dell’IP, i diritti di IP devono essere
registrati in Cina; le piattaforme online sono esposte ai rischi e alle
responsabilita?derivate dai venditori ospitati. Non esiste una
legislazione speciale in materia di tutela della proprietà intellettuale
nel settore e-commerce anche se TmallGlobal mette a disposizione una
piattaforma di protezione IPR: Ali IPR Protection Platform
(http://qinquan.taobao.com/).
Una missione di Confindustria
insieme all’Ice di Shanghai ha siglato qualche mese fa un protocollo
sull’IP proprio nel quartier generale di Alibaba, ad Hangzhou, e
l’impegno sull’e-commerce continua con l’obiettivo di illustrare le
strade del crossborder e-commerce in un ciclo di incontri organizzato
insieme all’Ice di Shanghai partito nei giorni scorsi in cui esperti di
logistica e distribuzione come Alessandro Felici di Evlonet e Giulio
Finzi del Consorzio Netcomm (consorzio all’interno di Confindustria
Digitale) spiegano alle aziende come muoversi. Dice Daniel Kraus, vice
direttore di Confindustria con delega all’internazionalizzazione: «La
Cina conta circa 670 milioni di utenti internet e le opportunità offerte
dall’e-commerce cinese alle Pmi italiane sono innumerevoli, tuttavia
per poterle cogliere occorre che le aziende preparino un progetto
e-commerce internamente e siano ben informate sulle regole di questo
modello di sviluppo, gestito principalmente da piattaforme cinesi, nel
quale interagiscono diversi attori con un ruolo ben preciso. Bisogna
avvicinare e preparare le aziende all’utilizzo di questo canale di
vendita fornendo le informazioni, gli strumenti e gli accorgimenti utili
per sfruttare a pieno le grandi potenzialità, per incrementare le
esportazioni di prodotti Made in Italy in Cina».
Carlo Mantori, 36
anni, da un decennio in Cina, si è portato avanti. Il suo “negozio” si
chiama yi tao guan (http://www.kjt.com/store/4244/): «Ho sempre fatto
export di abbigliamento e prodotti tessili - dice – adesso voglio
scommettere sulla fame di prodotti non made in China, la nostra newco si
chiama 39 ideas, ho un socio cinese e ho potuto contare sullo studio di
consulenza GWA che ha creduto ed investito nel progetto. Abbiamo
studiato la legislazione, siamo pionieri, il negozio è partito da poco,
ma esiste e funziona, non è stato solo un esercizio stilistico, dovremmo
andare a breakeven entro 6 mesi con 4 categorie di prodotti baby food,
baby care, italian food, idee regalo. Proprio quelli che piacciono alla
borghesia affluente cinese».