il manifesto Alias 27.2.16
Basta credere che funzioni
Verità
nascoste. Studi accurati smentiscono l’efficacia della Tcc (Terapia
Cognitivo Comportamentale) nella cura del disagio psichico
di Sarantis Thanopulos
C’è
voluto del tempo perché una falsità evidente fosse dimostrata tale
«scientificamente». Studi accurati smentiscono l’efficacia della Tcc
(Terapia Cognitivo Comportamentale) nella cura del disagio psichico. La
psicoanalisi, perfino nelle sue forme più schematizzate che la rendono
«empiricamente» verificabile, funziona molto meglio.
Psicoanalisi e
Tcc seguono prospettive opposte. Per quanto la differenza tra la grande
complessità della prima e la povertà concettuale della seconda scoraggi
la possibilità di un confronto, si potrebbe, al prezzo di una forte
semplificazione, usare come metro di paragone il loro rapporto con le
contraddizioni dell’essere umano. Per la psicoanalisi le contraddizioni
sono una qualità intrinseca della natura umana: è necessario mantenerle
vive, cercando di liberare il loro potenziale trasformativo, per farne
la forza motrice dell’esistenza. Per la Tcc, le contraddizioni derivano
da convinzioni irrazionali, creano instabilità psichica e possono essere
eliminate con uno sforzo logico, positivo di pensiero.
Com’è
stato possibile che una terapia riduttiva, centrata sul presente e sulla
conformazione ai luoghi comuni del pensare, fatta di prescrizioni
comportamentali e esercizi mentali improbabili, abbia potuto godere, e
in parte gode ancora, di una credibilità diffusa? Le risposte non sono
confortanti.
In primo luogo, la Tcc, che promette un trattamento
della sofferenza psichica in tempi brevi, è stata considerata dai
governi intenti a tagliare il welfare più economica della psicoanalisi.
La cultura dell’efficienza ha aggiunto ulteriore sostegno a una cura che
sprona chi soffre, a non crogiolarsi nelle sue aporie esistenziali e
tornare socialmente produttivo.
In secondo luogo, gli esponenti
delle «scienze naturali» reagiscono, in maggioranza, in modo autoritario
alle incertezze epistemologiche che mettono, necessariamente, in
discussione l’infallibilità «geometrica» delle loro concezioni:
inseguono l’affermazione della superiorità dei loro metodi, fondati sul
calcolo matematico, su ogni altra forma di sapere. Pretendono che ai
desideri, alle emozioni, ai sentimenti, ai pensieri e più in generale
all’immaginazione e alla creatività umana, venga applicata, come verità
superiore, la «logica» delle particelle o della propagazione
dell’eccitazione lungo i neuroni.
La pretesa è di per sé assurda,
ma solo pochi osano contestarla (tanto è forte la domanda di certezza
con cui suppliamo al nostro disorientamento esistenziale). Quando la
«verità» sulla natura umana si affida alle scansioni cerebrali, non è
strano vedere ammantate di scientificità approssimazioni volgari, che
sviliscono la complessità e la bellezza delle costruzioni teoriche delle
scienze naturali. La colonizzazione dei territori altrui non fa bene ai
colonizzatori.
L’affermazione di uno scientismo ottuso nel campo
della cura psichica, ha radici più profonde della presunzione di
superiorità degli scienziati «puri e duri». Va incontro alla richiesta
collettiva di un effetto «placebo»: l’investimento di un rimedio magico
alle proprie difficoltà (quando si dispera di poterne venire a capo con
l’impegno personale) che ha un valore «curativo» fuorviante.
L’illusione
di stare bene, mentre si continua a stare male, poggia su un oggetto
rassicurante che deresponsabilizza il soggetto e porta la sua struttura
psicocorporea all’immobilità. Si crea in questo modo un falso senso di
stabilità, che ha un effetto calmante.
Questo tipo di cura (non
solo del dolore psichico), un adattamento al grigiore, è la mentalità
dominante dei nostri giorni: basta credere che funzioni.