il manifesto 27.2.16
Se salta Schengen un danno di oltre 100 miliardi l’anno
Bruxelles.
Cosa accadrebbe con il ripristino generale delle frontiere all'interno
dell'Ue. Dalla commissione l’allarme agli stati per accettare il
ricollocamento dei profughi
di Rachele Gonnelli
Non
c’è dubbio, l’Europa trema come se stesse per spaccarsi. Preoccupano
soprattutto le minacce che vengono dal naufragio dell’aquis di Schengen —
altrimenti detto accordo o trattato ma si chiama con questo strano nome
che significa pacchetto di regole sullo spazio comunitario di libera
circolazione di beni e persone — che insieme alla moneta unica regge
l’intera impalcatura della Ue.
Matteo Renzi, intervistato
dall’agenzia Bloomberg qualche giorno fa, ha usato la metafora, un po’
stantia ma sempre efficace, dei 28 paesi membri come l’orchestra che
suona sul ponte del Titanic. Ma un’altra visione strategica non sembra
averla neanche lui.
Ciò che la Commissione ha studiato per
convincere gli stati a rispettare Schengen e quindi a collaborare nei
programmi di ricollocamento dei profughi e di controllo delle frontiere,
è allora lo spauracchio di disastrose conseguenze economiche. Nella
relazione della Commissione c’è infatti un dettagliato quadro
dell’impatto che il fallimento di Schengen comporterebbe in termini di
costi aggiuntivi per cittadini e imprese, mancati introiti e emorragia
di posti di lavoro, un’analisi persino più fosca di quella condotta da
France Strategie, think tank che elabora valutazioni per l’Eliseo,
all’inizio del mese. Se infatti i francesi stimano in 100 miliardi di
euro l’anno il colpo sferrato all’economia europea dall’addio a
Schengen, per la Commissione si arriverebbe a 138 miliardi di conto
finale per gli stati nella loro totalità.
L’impatto più immediato
del ripristino generale delle frontiere nazionali sarebbe, naturalmente,
sul traffico delle merci, che — precisa la Commissione — rappresenta
attualmente un volume di affari pari a 2.800 miliardi di euro e una
massa di 1.700 milioni di tonnellate di beni che si spostano tra le
frontiere annualmente. Il ripristino dei controlli doganali interni
potrebbe costare tra 5 e 18 miliardi di euro, solo di costi diretti.
Autotrasportatori e logistica, secondo le stime Ue, pagherebbero un
grosso dazio, probabilmente reagirebbero aumentando i prezzi. Pesanti
scelte si prospetterebbero per i lavoratori transfrontalieri, che sono
molti anche se meno dell’1% della popolazione dell’area Schengen.
L’industria del turismo con il ritorno dei visti subirebbe un colpo
pesante, tra i 10 e i 20 miliardi, facendo arretrare il Pil della Ue tra
lo 0,07 e lo 0,14 per cento.
Secondo le stime di France Strategie
gli scambi commerciali sarebbero decurtati del 10–20 per cento, i beni
trasportati vedrebbero rincari del 3 per cento a causa delle tasse
doganali e dell’aumento dei costi, mentre i danni al settore turistico
sarebbero più limitati. Il centro studi d’Oltralpe si sbilancia a fare
previsioni di calo del Pil sia a livello dei 28 (- 0,8) sia per i
singoli paesi: alla Germania la fine irrevocabile di Schengen costerebbe
28 miliardi di euro, all’Italia 13 miliardi, alla Spagna 10 miliardi,
all’Olanda 6 miliardi e così via.
Ma non solo. Tra i documenti
preparatori del vertice della prossima settimana a Bruxelles ce n’è
anche uno sul mercato dei capitali che spiega come il settore
finanziario sia ormai definitivamente cementato a livello continentale
ma come possa svilupparsi grazie a finanziamenti pubblici (costerebbe
200 miliardi l’anno solo la transizione verso un’economia low carbon) e
garanzie di stabilità.
Cio che manca invece nei documenti redatti
dalla Commissione per i rappresentanti governativi è invece un rapporto
sui costi sociali dell’operazione di fili spinati e frontiere chiuse. E
l’unico approfondimento è una mappa di Frontex che segnala un traffico
di migranti interni alla rotta balcanica: albanesi, macedoni e
georgiani, «migranti economici» secondo la dizione per segnalare quelli
che l’Europa non vuole, perché questi paesi (Albania, Macedonia e
Georgia) pur facendo parte dell’Unione europea non sono all’interno
dello spazio Schengen, che come si vede dalla piantina proprio nell’area
balcanica ha un evidente «buco» o zona grigia. Esattamente costoro sono
quelli che tanto spaventano il governo britannico con il suo welfare
state.