il manifesto 27.2.16
Se l’Europa dipende da Ankara
Migranti. La sopravvivenza dell’Ue dipende dal vertice del 7 marzo con il premier turco
di Carlo Lania
«L’Europa
riuscirà a salvarsi?» si è chiesto ieri il sito di Le Monde mettendo in
fila una serie di questioni scoperchiate dalla crisi dei migranti:
divisioni tra Paesi fino a ieri amici — come Francia e Belgio o Austria e
Germania -, invettive tra Stati e mancanza di solidarietà verso la
Grecia, soprattutto da parte dei paesi dell’Est. Per poi concludere
sottolineando amaramente come l’incapacità dimostrata nel gestire le
centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra
rischi di rappresentare la «morte clinica dell’Europa».
Per avere
una risposta alla domanda del giornale francese, per sapere se l’Unione
europea è davvero arrivata alla fine oppure no, bisognerà attendere il 7
marzo, giorno in cui i leader dei 28 incontreranno di nuovo il premier
turco Ahmet Davutoglu al quale chiederanno ancora una volta di mettere
fine alle partenze dei profughi. La medicina alla quale Bruxelles si
affida nella speranza di salvare Schengen e l’Ue è infatti la Turchia di
Recep Tayyip Erdogan. «Un crash test per le istituzioni europee», ha
definito l’incontro il commissario Ue all’Immigrazione Dimitri
Avramopoulos, lasciando intendere così l’importanza data
all’appuntamento. Proprio per preparare il vertice il presidente del
consiglio Ue Donald Tusk — che con la cancelliera Merkel è tra i più
convinti sostenitori dell’alleanza Ue-Turchia — dall’1 al 3 marzo
compirà una missione che lo porterà a Vienna, Lubiana, Zagabria, Skopje e
Atene — le capitali della rotta balcanica — per poi incontrare anche il
segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e il direttore di
Frontex Fabrice Leggeri. L’obiettivo, o meglio la speranza, è quella di
arrivare il 7 marzo potendo mostrare un’Europa unita nella risposta da
dare alla crisi dei migranti, cosa che al momento non è.
Non è la
prima volta che Bruxelles si appella ad Ankara. Lo ha già fatto l’anno
scorso firmando alla fine di novembre un accordo che prevedeva lo
stanziamento di 3 miliardi di euro alla Turchia (dove si trovano già 2,6
milioni di siriani) che avrebbe dovuto allestire nuovi campi per i
profughi migliorando le condizioni di quelli già esistenti. In aggiunta
ai soldi, Bruxelles si è detta disponibile alla liberalizzazione dei
visti per i cittadini turchi, nonché a riprendere il processo di
avvicinamento all’Ue e a inserire la Turchia nella lista dei paesi
sicuri.
Va detto che in questi mesi nessuno ha fatto ciò che aveva
promesso e che solo ultimamente sembra essere arrivato i via libera ai
finanziamenti. L’incontro del 7 servirà comunque proprio a questo, a
ricordare a Davutoglu gli impegni presi e a sollecitarlo a fermare i
migranti con tutti i mezzi. Sapendo però che anche il premier turco
potrebbe mettere sul piatto nuove e più esigenti richieste, sia dal
punto di vista economico che politico.
La cosa drammatica è che
nessuno sembra preoccuparsi della sorte dei profughi. Impedire loro di
arrivare in Europa risolve un problema a Bruxelles ma rischia di mettere
seriamente in pericolo le loro vite. Dall’inizio dell’anno fino al 15
febbraio scorso le autorità turche hanno fermato 8.550 migranti e
arrestato 19 scafisti, stando a quanto riferito all’agenzia Ansa da
fonti diplomatiche. Il modo in cui queste persone vengono trattate lo ha
descritto a dicembre Amnesty international, che in un rapporto ha
denunciato come centinaia di migranti e richiedenti asilo bloccati al
momento della partenza verso la Grecia siano stati trasferiti in centri
di detenzione dove sono stati maltrattati e, in alcuni casi, rimpatriati
forzatamente in Siria e Iraq. Amnesty riporta anche alcune
testimonianze secondo le quali i profughi sono stati picchiati e
ammanettati. «La cooperazione tra Ue e Turchia in relazione alle
migrazioni dovrebbe cessare finché queste violazioni non saranno oggetto
di indagine e si concluderanno», ha chiesto l’organizzazione. Violenze
che non valgono solo per i migranti, ha ripetuto tre giorni fa Amnesty
ricordando come dalle elezioni dello scorso mese di giugno in generale
nel Paese «la situazione dei diritti umani si è deteriorata
notevolmente».
Fino a oggi, però, al di là di una serie di
generiche dichiarazione sulla necessità di rispettare i diritti umani,
Bruxelles non è andata. Né sembra intenzionata a chiedere ad Ankara
impegni precisi sul modo in cui verranno trattati i migranti fermati.
Rigirando allora la domanda posta dal sito di Le Monde, viene da
chiedersi se un’Europa così non sia già morta.