martedì 9 febbraio 2016

il manifesto  9.2.16
Tra i due litiganti Sala gode, sipario sull’esperienza arancione
La commedia delle primarie del Pd più belle d'Italia ha rispettato il copione. La vittoria del manager di Expo, con la complicità dei due comprimari Majorino e Balzani che si sono divisi il voto di sinistra, consegna la città del sindaco Giuliano Pisapia al partito della nazione. A sinistra si apre uno spazio politico per tutti coloro che considerano Beppe Sala un corpo estraneo
di Luca Fazio

MILANO E vissero tutti felici e contenti. Evviva il centrosinistra milanese, dicono proprio così, e non c’è niente da ridere. Fine della commedia. Forse sarebbe stato più rispettoso per il pubblico pagante se la messa in scena delle primarie del Pd si fosse conclusa con un simpatico colpo di scena, magari con i tre candidati sorridenti a fare cippirimerlo ai cittadini che ci hanno creduto. Il lieto fine era scritto, è vero, però i salamelecchi del giorno dopo suonano ugualmente un po’ irritanti, soprattutto per quei 33.645 votanti che hanno pagato il biglietto per veder perdere i loro candidati non protagonisti contro Mr Expo. Come da copione, è Giuseppe Sala il candidato sindaco del partito della nazione. Ha preso 24.961 voti (42,3%), non tantissimi ma sufficienti. Hanno votato 60.900 persone, 6 mila in meno rispetto al 2010.
Sono tutti euforici, dicono di aver vinto. Nessuno gli ha ancora detto che la festa è finita. Pierfrancesco Majorino (ha perso con il 23% dei voti) se la canta e se la suona rivendicando la sua radicalità mentre scorrono i titoli di coda sulla defunta esperienza arancione. Starà con Beppe Sala, naturalmente: “Ora il cammino continua, leali nel centrosinistra”. Ma i conti poco chiari di Expo? E il sostegno di Cl e dei salotti? Acqua passata. Francesca Balzani (ha perso con il 33,9% dei voti) è furibonda ma il copione le impone di continuare la recita: “Questo voto mostra che Milano vuole il centrosinistra, una sinistra responsabile, costruttiva, di governo ed è solo riunendoci che questo elettorato si ritroverà compatto per vincere a giugno le elezioni”. E il voto dei cinesi? Macché, “polemiche sterili”. Viva Beppe.
La considerazione più sconcertante tocca però al regista dell’operazione, Giuliano Pisapia, l’unico grande perdente di questa partita incomprensibile che spalanca le porte di Palazzo Marino all’ex city manager di Letizia Moratti, l’uomo più adatto a portare avanti il disegno del presidente del Consiglio. Il sindaco di Milano non solo non si sente sconfitto ma rilancia: “No, sono vincente”. Qualunque osservatore sa invece che domenica scorsa è calato per sempre il sipario sulla sua esperienza politica, semplicemente perché pur giocando in casa è stato battuto da Matteo Renzi. In cinque anni Pisapia non è riuscito a creare una comunità politica in grado di ereditare l’iniziale forza d’urto dell’esperienza arancione. Era questa l’unica strada, a Milano, per dare vita a un’alternativa credibile al renzismo (i suoi assessori del resto da subito hanno scelto Sala). Lui non ha voluto o potuto perseguirla.
Sembra strano, ma questo è già il passato. Anche se largamente previste e prevedibili, le cose poi accadono e producono effetti non scontati. E immediati. I Sala-boys (Majorino e Balzani compresi) già sanno che l’esito delle primarie apre scenari per nulla rassicuranti. Non tutte le elezioni sono ritagliate su misura per far vincere facile l’ex manager di Expo. Lo dicono la matematica e il buon senso: una parte consistente di quel 56,9% del “popolo di sinistra” che domenica ha scelto di non votare Beppe Sala potrebbe non votarlo nemmeno il prossimo giugno. Molti lo considerano un corpo estraneo. Questo fatto nelle prossime settimane produrrà smottamenti (e psicodrammi e clamorose resurrezioni) nel campo piuttosto desolato della sinistra. Ma l’occasione è troppo ghiotta e non capita da anni.
La domanda è: come soddisfare questo bisogno di sinistra emerso dalle primarie? Il dilemma riguarda prima di tutto Sel, e più o meno è lo stesso che lacera il partito che da mesi finge di credere nel centrosinistra milanese. Starci dentro o guardare altrove? Onorare i patti e stare con Sala fino a giugno sarebbe doveroso ma suicida, nascondersi dietro una ipotetica lista Balzani per salvare la faccia sarebbe poco credibile, così come sarebbe un azzardo abbandonare la partita dopo aver perso per riallacciare rapporti mai così deteriorati con tutto ciò che si agita a sinistra del Pd. “Stiamo riflettendo, questo voto ci interroga nel profondo”. Benvenuti e tanti auguri.
Sembrerebbe più agevole, ma è altrettanto complicato, il compito della sinistra-sinistra che da mesi è in attesa di muovere i suoi primi passi (Prc, Lista Tsipras, Possibile e pezzi di Sel in libera uscita). Si parlano, fervono le trattative, è un bisbiglio che arriva alle orecchie. Ma c’è poco da girarci attorno. Ci vuole una lista. Bisogna tirare fuori un nome. Dicono che accadrà entro febbraio. Servirebbe un volto nuovo ma conosciuto e affidabile, con un progetto credibile e insieme visionario, dal linguaggio non paludato ma riconoscibile, e possibilmente in grado di sbarazzarsi delle solite liturgie. Praticamente un miracolo. Come dicono alcune vecchie volpi della politica milanese già al lavoro, a sinistra si è creato uno spazio e in politica gli spazi si riempiono sempre. Il problema è renderli accoglienti (e votabili).