il manifesto 9.2.16
Depistaggio di al-Sisi
Il Cairo. Le
autorità egiziane iniziano ad insabbiare l’inchiesta sulla morte di
Giulio Regeni. I media locali fabbricano la pista omosessuale dopo le
rivelazioni sulle atroci condizioni del cadavere
di Giuseppe Acconcia
Edizione del
Al
Cairo l’atroce arresto, tortura e morte di Giulio Regeni è già
insabbiato. Il ministro dell’Interno, Magdi Abdel Ghaffar, ha negato che
esista una pista che confermi le responsabilità della polizia.
Eppure
tutte le notizie che trapelano dall’autopsia italiana, dalle unghie dei
piedi e delle mani strappate, alle falangi fratturate una ad una e
l’orecchio mozzato fanno pensare ai metodi inconfessabili della
famigerata Sicurezza di Stato egiziana (Amn el-Dawla), temuta da tutti
gli egiziani e che da oggi è diventato l’incubo anche degli stranieri.
Il colpo di grazia sarebbe stato inferto con l’improvvisa rotazione
della testa oltre il punto di resistenza mentre la morte sarebbe
sopraggiunta dopo ore di agonia.
Dagli ambienti di avvocati e
difensori dei diritti umani in Egitto emerge che Giulio si trovava nel
momento sbagliato e nel posto sbagliato quel terribile 25 gennaio,
quinto anniversario dalle proteste, quando è scomparso. Probabilmente
non lontano da piazza Tahrir e in una riunione a porte chiuse o
all’aperto insieme ad almeno quaranta persone. È possibile che in quel
momento sia stato fermato insieme agli altri e che in quanto straniero
abbia destato sospetti. A quel punto è partito in Egitto il passaggio da
un posto all’altro di detenzione fino al luogo degli interrogatori e
delle torture. Gli ambienti dei sindacati indipendenti, frequentati da
Giulio per motivi di ricerca, sono da tempo infiltrati dai servizi
segreti militari e civili.
Questo tentativo di impossessarsi del
dissenso da parte dei militari è successo in tante circostanze e modi
diversi negli ultimi cinque anni. Un esempio lampante è il movimento
Tamarrod (ribelli) che è stato forgiato dai militari per costringere
l’ex presidente, Mohammed Morsi, alle dimissioni e che ha giustificato
agli occhi dell’opinione pubblica il golpe militare del 2013. Le cellule
del gruppo, nato come una raccolta firme, erano costituite proprio da
giovani pagati dai militari. Da allora ogni forma di dissenso è stata
impedita. Soprattutto all’interno delle fabbriche e tra i sindacati
indipendenti. Prima di tutto i sindacati filo-governativi hanno visto
spegnersi la loro spinta per i diritti dei lavoratori e in seguito le
infiltrazioni di Intelligence hanno riguardato anche gli altri gruppi
registrati o informali che sono sotto la lente di ingrandimento del
regime.
È possibile che Giulio sia stato tradito da uno dei suoi
contatti e che fosse attenzionato. Questo ha prolungato l’arresto
trasformandolo in tortura e morte lenta che sarebbe sopravvenuta giorni
dopo l’arresto. Perché non è stato lanciato subito l’allarme sulla
scomparsa di Giulio? In un’intervista al manifesto l’attivista, Mona
Seif, ha spiegato che è una prassi consueta aspettare prima di dare
notizia pubblica della scomparsa di un congiunto.
Questa attesa
tuttavia potrebbe essergli stata fatale. Nel momento in cui il ministro
degli Esteri, Paolo Gentiloni, si è attivato, cioè il 31 gennaio, per
chiedere spiegazioni al suo omologo egiziano, poco dopo il cadavere di
Giulio è stato fatto ritrovare in un fosso in condizioni atroci. Qui si è
aperta la ridda di voci e depistaggi. Dall’incidente stradale all’atto
di criminalità comune sono le spiegazioni che prima di ogni altre sono
state date in pasto ai media per spiegare la morte di Giulio.
L’ultimo
tentativo delle autorità egiziane è quello di avvalorare la tesi
dell’omicidio a sfondo omosessuale. Secondo questa ricostruzione fasulla
il corpo di Giulio sarebbe stato trovato nelle terribili condizioni di
cui sopra per il giro di persone che frequentava. Addirittura i due
arrestati poche ore dopo l’omicidio sarebbero proprio due persone
omosessuali, in seguito rilasciate. Giulio Regeni potrebbe aver ricevuto
l’attenzione dei Servizi anche per la sua affiliazione con l’Università
americana del Cairo (Auc). Sono tanti i ricercatori europei che fanno
riferimento all’istituzione accademica Usa in Egitto.
Tanto è vero
che dopo la diffusione della notizia della morte di Giulio Regeni,
dall’Auc è arrivata la richiesta a tutti i ricercatori, studenti e
dottorandi che avrebbero dovuto recarsi in Egitto di fare marcia
indietro e di non andare nel paese per ragioni di sicurezza.
Che
oltre al ritrovamento del cadavere al-Sisi non voglia andare lo conferma
il fatto che fin qui il team investigativo italiano non ha avuto vita
facile in Egitto. Il pm che guida l’inchiesta, Sergio Colaiocco, ha
dovuto inviare una rogatoria internazionale per poter aver accesso ai
dati emersi dalla prima autopsia. Gli inquirenti italiani al Cairo hanno
potuto solo visionare i tabulati telefonici e stabilire che la
scomparsa di Giulio è avvenuta mezz’ora dopo aver lasciato casa, poco
rispetto alle attese.