il manifesto 3.2.16
Banche, il sistema parallelo
Economia.
 «Il grande imbroglio» di Stefano Righi, per Guerini e associati. Un 
libro-inchiesta che racconta gli scenari dietro i crack degli istituti 
finanziari: un sistema di inganni che va avanti da decenni
di Ernesto Milanesi
Non
 c’è solo Banca Etruria. Né il paradigma del famoso decreto di domenica 
22 novembre 2015. La parola «banca» finisce per diventare sinonimo di 
storie incredibili, poteri inossidabili, giochi a senso unico, piramidi 
di benefits e compassi da cerchio magico.
Stefano Righi, firma 
dell’inserto economico del Corriere della Sera, racconta Il grande 
imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi (Guerini e 
associati, pp. 160, euro 12,50). Una lettura più che istruttiva sul 
castello di carta dei soldi. Una cronaca spietata della «rottamazione» 
strutturale dell’Italia governata da Renzi & Boschi. È la vera 
deriva di un sistema che fa comodo a pochi eletti e si fa pagare perfino
 con gli interessi, non solo politici.
Grazie al libro di Righi, 
sappiamo come l’«impossibile» crack dei fratelli Lehman sia costato alle
 nostre banche 150 miliardi di euro prontamente scaricati sul «parco 
buoi» di risparmiatori e piccoli investitori. Oppure che a marzo 2015, 
giusto mentre il capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo 
si spolmonava nell’audizione a Montecitorio, la Cassa di Risparmio di 
Ravenna (presieduta da Antonio Patuelli, presidente Abi), ritoccava la 
sua solidità con 170 milioni di bond subordinati che alla vigilia di 
Natale ha dovuto affannosamente ricomprare dai suoi stessi clienti.
Il
 «mitico Nord Est», invece, ha spacciato schei con il trucco semantico 
incorporato. Righi è illuminante: «A Vicenza (e a Montebelluna), hanno 
campato a lungo giocando sulla sottile differenza che esiste tra la 
parola ’prezzo’ e la parola ’valore’. Medesima percezione, concetti 
giuridicamente diversi, talvolta addirittura opposti. Qual è il prezzo 
delle azioni, chiedeva l’ingenuo socio? Il valore è 62,5 euro, 
rispondeva l’accorto bancario». Così la prossima primavera Popolare 
Vicenza e Veneto Banca sono chiamate a rastrellare altri 2,5 miliardi in
 aumenti di capitale, come eredità della stagione d’oro senza caratura 
di Gianni Zonin e Vincenzo Consoli. Del resto, il 21 dicembre scorso 
nella filiale Veneto Banca di Castelfranco un correntista-azionista 
aveva «recuperato» 7.300 euro con un’inedita quanto simbolica rapina…
La
 storia si ripete sempre. Negli anni ’80 salta il Banco Ambrosiano di 
Roberto Calvi (più di 2 miliardi di euro) e negli anni ’90 crolla il 
Banco di Napoli di Ferdinando Ventriglia. Gli anni zero registrano il 
tilt di Unicredit, «la» banca con al timone Alessandro Profumo: «Bruciò 
il 90% del proprio valore in meno di due anni: il 2 aprile 2007 il 
titolo valeva 42,26 euro. Il 2 marzo 2009 era sceso a 3,68 euro». E «il 
grande imbroglio» continua. Se su Montepaschi che incorpora Antonveneta 
si è scritto a iosa, nelle banche «territoriali» si scopre davvero di 
tutto. Righi documenta spietato senza sconti, a beneficio del 
lettore-risparmiatore.
Banca Popolare Milano nella gestione di 
Massimo Ponzellini, curriculum che va da assistente ministeriale di 
Prodi a presidente Impregilo via Nomisma e Bei. In Bpm si scoprirà una 
banca parallela: «Eroga finanziamenti agli amici degli amici, alcuni di 
questi particolarmente attivi nel mondo del gioco d’azzardo, per 
complessivi 230 milioni di euro, in cambio di pagamenti per circa 5 
milioni».
Banca delle Marche? «Secondo lo studio legale Bonelli 
Erede Pappalardo, che ha redatto nel maggio del 2015 l’atto di 
citazione, il crack è paragonabile, in Italia, solamente alla vicenda 
Sindona».
Cassa di risparmio di Chieti? Domenico Di Fabrizio, 
assunto come autista, diventa dominus perfino nella Fondazione. Alle 
Comunali 2011 raccoglie il record di preferenze e fa politica con 
identico stile: senza badare agli steccati delle coalizioni.
Banca
 Popolare di Cividale? Lorenzo Pellizzo, farmacista, è il presidente dal
 1970 fino al 2014 quando si registreranno 500 milioni di «incagli».
Una
 risposta clamorosa arriva fin dalle prime pagine del libro di Righi: 
«Nel 2014, McGraw-Hill Financial, con la George Washington University e 
la Banca Mondiale, ha condotto una ricerca sulla cultura finanziaria in 
148 Paesi; l’indagine ha portato a stilare una classifica nella quale 
l’Italia è finita dietro a Botswana, Madagascar, Togo e Kenya».
Resta
 intatto l’interrogativo su correttezza, trasparenza, affidabilità dei 
banchieri stellarmente lontani dal «buon padre di famiglia» e più che 
connessi con affari & politica. Il business scriteriato, nel 
solo Veneto cattolico e leghista, con Popolare Vicenza e Veneto Banca ha
 bruciato 10 miliardi. Righi chiosa: «Chi ha sottoscritto l’ultimo 
aumento di capitale della Vicenza a 62,50 euro si è trovato pochi mesi 
dopo con l’azione svalutata a 48 euro e invendibile. Difficile, per 
quelle 26 mila persone, nuovi soci della banca, dimenticare la 
sensazione di aver subito una truffa, di essere stati raggirati, di aver
 buttato i risparmi dalla finestra».
Ma dentro questo grande 
imbroglio si annida soprattutto la delega in bianco a chi si è scavato 
la nicchia nella montagna di soldi altrui. Righi certifica un elenco che
 dovrebbe, almeno, attivare la «buona scuola» delle verifiche o il Jobs 
Act al merito, se esiste davvero. È la risonanza magnetica dell’Italia 
che non cambia mai: «Carlo Fratta Pasini, 59 anni, è nel consiglio di 
amministrazione del Banco Popolare (e delle banche che lo hanno fatto 
nascere) dal 1995, mentre siede sulla poltrona del presidente dal 1999. 
Alberto Folonari, 78 anni, è nel consiglio di amministrazione di Ubi 
Banca dal 1995. Angelo Tantazzi ha un posto nel consiglio di 
amministrazione della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna dal 1993. Marco
 Jacobini è presidente della Popolare di Bari dal 1989. In precedenza, 
su quella poltrona vi era il padre, Luigi, fondatore dell’istituto nel 
1960. Domani, probabilmente, a guidare la banca ci saranno i figli, già 
in organico. Giovanni De Censi è entrato al Credito valtellinese nel 
1957, aveva 19 anni. È diventato direttore generale nel 1981. Nel 1996 è
 diventato amministratore delegato. Dal 2003 è presidente, carica che 
ricopre quando ormai, per lui, gli anni sono diventati 78. Pensate possa
 bastare? Alla Popolare dell’Etruria, lo scomparso Elio Faralli rimase 
in carica per trentacinque anni. Il senatore Denis Verdini per vent’anni
 ha guidato il Credito Commerciale Fiorentino. Gaetano Saporito è stato 
presidente per trentacinque anni della Banca di credito cooperativo 
Toniolo di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, rieletto per 
dodici volte all’unanimità prima di dimettersi a 81 anni, ma lasciando 
la poltrona al fratello Salvatore, all’epoca 77 anni, già direttore 
generale».
 
