il manifesto 2.2.16
Un j’accuse alla «sinistra liberale»
Saggi.
Il pamphlet dello studioso francese Jean-Claude Michéa «I misteri della
sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto»
per Neri Pozza
di Francesco Pastorino
Jean-Claude
Michéa non ama essere associato alla «sinistra liberale». La sua idea
di giustizia è infatti incompatibile con quella dalla filosofia liberale
fatta propria da gran parte della sinistra, come emerge dall’ultimo
libro pubblicato da Neri Pozza (I misteri della sinistra. Dall’ideale
illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, pp. 144, euro 15). In
questo pamphlet, la polemica è portata contro la società in cui regnano
il «valore di scambio» e la metafisica dei consumi, ma soprattutto
contro il colpevole numero uno, la figura politica del liberal, cioè
colui che avrebbe archiviato l’orwelliana common decency e sposato la
trama fasulla del diritto universale.
Lo scenario che descrive non
può ospitare la distanza tra l’offerta liberista e la variante
progressista. Entrambe, per Michéa, trarrebbero origine
dall’illuminismo: la cultura che premia l’immagine «ipocrita» di un
cittadino non più imprigionato dalle presunte catene della tradizione.
Di
qui la consueta critica rivolta ad un politically correct che tutela
clandestini e minoranze varie, mentre perde di vista la famiglia
«naturale» del socialismo costituita da contadini e proletari. Con un
«cuore a sinistra e un portafoglio a destra», il progressista vuole
realizzare una società egalitaria sorretta dall’imperativo borghese.
Ecco spiegato, secondo questo autore, il graduale slittamento a destra
di un popolo che si sente ripetutamente offeso dalle cerimonie
mediatiche e dai festival (postmoderni) del sapere. I nuovi attori della
sinistra, insomma, non riuscirebbero a provare empatia nei confronti di
una classe priva di una degna rappresentanza.
Già ai tempi
dell’affaire Dreyfus andrebbe individuata, a suo parere, la sconfitta
dell’opzione socialista e la nascita ufficiale della sinistra.
L’adesione sempre più frequente al modello liberale in economia
affonderebbe cioè le radici in quella ricerca ossessiva di un’alleanza
con il riformismo, volta a scongiurare il pericolo delle forze
reazionarie.
Tra volgari compromessi e ribellioni pacifiste, la
sinistra moderna si inginocchia così al modo di produzione
capitalistico, rifugiandosi negli astratti principi dell’89. Per
arginare questa deriva «liberale», Michéa propone allora di disegnare un
illuminismo più robusto che sia adatto a riabilitare un conflitto
sociale finalmente a scapito del potente.
Con Michéa sale in
cattedra Hegel, il neocomunitarismo di Michael Sandel, la sociologia di
Christopher Lasch e vengono parzialmente recuperate le lezioni di
Costanzo Preve, il filosofo italiano individauto come uno teorici
«rossobruni». Il succo politico del ragionamento di Michéa risiede nel
tentativo di offrire all’elettorato della sinistra un motivo di ampio
respiro al fine di abbandonare il linguaggio strumentale delle destre.
Un
j’accuse all’intellettuale progressista di certo non fa male, anche
perché si fa sempre più impellente il bisogno di affrontare la questione
sociale; ma se una diversa ricetta socialista si rivela sorda ad alcune
sfide importanti di questa società – la difesa laica dell’aborto, della
fecondazione eterologa, del matrimonio omosessuale −, la propaganda
conservatrice continuerebbe indisturbata ad urlare il suo Eureka.