il manifesto 2.2.16
La famiglia del desiderio
Vittorio
Lingiardi, psichiatra, professore ordinario di Psicologia dinamica alla
Sapienza di Roma ha scritto diversi saggi sul tema dell'omogenitorialità
e dell'orientamento sessuale. «Chiediamoci se è nell’interesse dei
bambini il mancato riconoscimento giuridico e simbolico delle loro
strutture famigliari, lasciandoli in condizioni di cittadinanza
inferiore e senza tutele»
intervista di Alessandra Pigliaru
Vittorio
Lingiardi, psichiatra, professore ordinario di Psicologia dinamica alla
Sapienza di Roma e, fino al 2013, direttore della Scuola di
specializzazione in Psicologia clinica, ha curato numerose traduzioni,
articoli e monografie sul tema dell’omogenitorialità e, più in generale,
dell’orientamento sessuale. Lo abbiamo incontrato per porgergli qualche
domanda.
In «Citizen gay» (Il Saggiatore) sostiene che serve a
poco inchiodarsi tra gli anatemi contro la «famiglia omosessuale» e le
varie e automoderate «concessioni alla diversità» in un mondo che è già
cambiato, si tratta di aprirsi alla trasformazione. Qual è il nodo
simbolico che va sciolto?
L’idea che esista solo un tipo di
famiglia e un solo tipo di filiazione. La storia e le geografie
culturali ci hanno mostrano che tanti sono i modi in cui gli umani
organizzano la loro tendenza a creare legami di attaccamento e
continuità. La trasformazione culturale che va assunta è, quindi, non a
detrimento delle «forme tradizionali» bensì aggiunge elementi di novità e
ricchezza. Tali novità, come dimostrano moltissimi studi scientifici,
non producono nocumento psicologico e sociale ma al contrario rinforzano
il tessuto affettivo e culturale, introducendo varianti senza
danneggiare nessuno.
Gay-Climbing-Groom-and-Helpful-Groom-Mix--Match-Cake-Toppers-
Come
psichiatra e psicoterapeuta, è certo che una regolamentazione che
riconosca a gay e lesbiche le unioni e i matrimoni contribuirebbe a
«prosciugare la palude, psicologica e sociale, in cui prolifera
l’omofobia». Una legge in materia avrebbe dunque effetti positivi ma,
come indica, è un contributo e non l’intero. Che cosa si può
ulteriormente fare sopra e fuori la legge?
Il mio approccio è
quello di avvicinarsi al tema delle famiglie omogenitoriali e, più in
generale, al riconoscimento della dignità delle persone gay, lesbiche,
bisessuali e transessuali, non solo in una prospettiva legale e
giuridica – comunque fondamentale – ma anche con un processo che nasce
dall’esperienza quotidiana, dalla reale curiosità – quando la si ha –
nel conoscere e osservare vite, desideri e gusti diversi dai propri. Il
grande discrimine non è tra maschi e femmine, oppure tra omo ed etero:
tutte le esistenze sono attraversate da soglie che variano e
differenziano le nostre esperienze.
Il 22 gennaio su «Libération»,
Paul B. Preciado è intervenuto per commentare il suicidio a Barcellona
di Alan, un diciassettenne transessuale che è stato vittima di bullismo.
Ciò apre a una questione scomoda e necessaria da affrontare visto che
la omo-lesbo-transfobia si riproduce proprio nella scuola, che diventa
un teatro di angherie indicibili. Preciado utilizza non a caso
l’espressione «assassinio sociale». Lei ha curato l’edizione italiana di
«Bullismo omofobico» (Il Saggiatore) di Ian Rivers a significare che il
tema della violenza nell’esperienza scolastica è cruciale…
L’espressione
di Preciado è forte ma coerente con quello che io riscontro nella
pratica clinica. Che sia un bullismo riferito al genere e alle sue
declinazioni o un bullismo verso l’orientamento sessuale e le sue
espressioni, aggredisce e pugnala il cuore di una soggettività che sta
cercando il proprio percorso in tema di sessualità e affettività. Non mi
stupisce che ciò possa produrre, in alcuni casi estremi, dei suicidi e
nella stragrande maggioranza dispersione scolastica, sindromi ansiose,
risposte depressive. Per questa ragione, è importante una cultura del
dialogo, una sensibilizzazione alle nostre infinite varietà. È un punto
su cui concordano tutti, dall’Oms all’Unicef, mentre la scuola italiana è
ancora arretrata. La vera ideologia la fa chi si scaglia contro gli
interventi scolastici tesi a sradicare il bullismo omofobico,
richiamandosi a una presunta «ideologia del gender» che come sappiamo
non esiste ed è, questa sì, una costruzione creata ad arte.
Riguardo
le costruzioni strumentali, ce n’è anche un’altra contraria
all’omogenitorialità e che recita più o meno così: «È contro l’interesse
del bambino». Secondo lei, a un’opinione simile, è sottesa un’idea
astratta e ideologizzata di bambino. Cosa significa?
Penso che si
debba partire dalla realtà e non dall’imposizione della propria visione
del mondo; fermo restando che la genitorialità può essere buona o
cattiva a prescindere dal prefisso omo ed etero che la precede. Esistono
già gay e lesbiche che sono genitori o da precedenti relazioni
eterosessuali o perché, da omosessuali, hanno intrapreso un percorso di
genitorialità. Quindi le persone omosessuali hanno figli e figlie.
Chiediamoci se è nell’interesse del bambino il mancato riconoscimento
giuridico e simbolico delle loro strutture famigliari, lasciandoli in
una condizione di cittadinanza inferiore, di mancanza di tutele. Credo
che l’interesse di un bambino o di una bambina sia piuttosto che venga
riconosciuta la loro famiglia. Non si può cancellare una identità
affettiva e sociale.
Quando ha presentato il suo libro le è stata
posta una domanda che le rigiriamo: perché vuole dei «citizen gay» e non
dei «nomadi queer»?
È una domanda a cui sono molto legato e che
ciascuno di noi dovrebbe portare dentro di sé, perché quando chiediamo
diritti come il matrimonio non stiamo inseguendo un conformismo e un
riconoscimento da parte di uno «Stato-genitore-buono», bensì una
possibilità. Sono altrettanto fermo nel riconoscere la libertà di chi
vuole costruire la propria storia affettiva con le pratiche e i legami
che crede più efficaci e corrispondenti per sé, quindi queer e nomadismo
ben vengano, se tuttavia si profilano in un contesto che garantisce
pari opportunità a tutti.
Mi viene in mente Piergiorgio Paterlini
quando dice di non vedere l’ora che venga riconosciuto giuridicamente il
matrimonio tra persone dello stesso sesso per poter finalmente
schierarsi contro l’istituzione matrimoniale.