il manifesto 2.2.16
Italia-Europa, scontro totale
Isolati.
Prima un portavoce, poi direttamente Juncker: la Commissione dà del
bugiardo al premier italiano sulla vicenda dei contributi alla Turchia. E
lui lancia la guerra ai «burocrati dello zero virgola». l capo del
governo: ok, pagheremo le nostre quote. Ma il ministero dell’economia
frena: vadano a carico dell’Ue
Jean Claude Juncker con Matteo Renzi
Andrea Colombo
ROMA
«Caro Matteo», e giù botte. L’Europa non porge l’altra guancia e il
presidente della Commissione Jean Claude Juncker non resiste alla
tentazione di far notare al premier italiano che quanto lui va dicendo
di voler strappare all’arcigna Ue era in realtà stato deciso quasi due
mesi fa. La vicenda è quella dei contributi dei vari paesi europei alla
Turchia per l’emergenza rifugiati «Fin dall’inizio», scrive Juncker a
Renzi, «la Commissione ha indicato che i contributi avrebbero potuto
essere dedotti dal patto di stabilità». Non solo: questa decisione è
stata ufficializzata il 18 dicembre «come concordato con il tuo sherpa».
Ecco a cosa si riferiva Juncker quando criticava la doppiezza degli
interlocutori italiani. La conclusione della lettera è al veleno: «Sono
felice di confermare che la commissione rispetta le tue dichiarazioni», e
ben due punti esclamativi aggiunti a penna.
Era prevedibile dopo
l’esito ambiguo dell’incontro Renzi-Merkel: lo scontro tra governo
italiano e Commissione europea si è riacceso immediatamente. Tutto
lascia pensare che diventerà sempre più duro. Proprio la Commissione
aveva aperto ieri mattina le ostilità. In un briefing, il portavoce
Margritis Schinas, parlando dei 3 miliardi destinati alla Turchia,
chiarisce che «i contributi nazionali al fondo non saranno considerati
nel computo dei deficit». Non è la richiesta italiana, ma ne rappresenta
una versione light ritenuta sino a ieri certamente accettabile.
Forse
lo sarebbe stata, infatti, se la pietanza non fosse stata accompagnata
da una quantità di bocconi venefici. Schinas specifica infatti che la
decisione era già stata presa in dicembre, offrendo così appositamente
il destro all’opposizione italiana per accusare il premier di battere i
pugni per ottenere quel che era già stato concesso a tutti, facendo così
una figura bella ma ingiustificata. Aggiunge che però la valutazione
sull’accordare o no ai singoli Paesi la flessibilità per le spese dovute
all’emergenza immigrazione «verrà fatta in primavera, caso per caso ed
ex post, sulla base di spese fatte». Come dire che la vicenda dei
miliardi alla Turchia non costituisce un precedente al quale appigliarsi
per reclamare la flessibilità su tutte le spese per l’immigrazione:
proprio quel che per Renzi è più importante.
Come se non bastasse,
la Commissione lancia una serie di segnali che più negativi non si può
in materia di banche. «Non ci sono piani per modificare il bail-in»,
comunica laconica e definitiva, sbattendo così la porta in faccia al
governatore di Bankitalia Visco, che proprio quella modifica aveva
chiesto «entro il 2018», e con lui schiaffeggiando anche l’ormai
detestato governo italiano. E stavolta ci si mette anche Mario Draghi
che auspica «un’attuazione coerente della normativa sul bail-in».
La
replica di Renzi non si è fatta attendere, e come sempre in questi casi
è ancora più dura e sprezzante dell’attacco. «Il nostro mestiere è
guidare l’Europa, non prendere ordini», scrive nella sua e-news. È solo
l’antipasto. Dalla Nigeria l’enfant terrible va giù a valanga: «Noi
pensiamo che i migranti siano tutti uguali. Solo una perversione
burocratica può fare distinzioni tra vite da salvare». Significa, spiega
senza perfirasi l’inquilino di palazzo Chigi, che se è un fatto
positivo escludere dal Patto di stabilità le spese per salvare i bambini
nel mar Egeo (cioè i miliardi per la Turchia) è in compenso «assurdo e
illogico considerare in modo diverso le spese per salvare i bambini
eritrei che arrivano in Sicilia», cioè il resto delle spese per
l’immigrazione.
Poi l’affondo più violento: «Noi abbiamo salvato
migliaia di vite, e continueremo a farlo, mentre l’Europa si girava
dall’altra parte. Se vogliono aprire una procedura d’infrazione facciano
pure. Per noi Europa significa valori, non polemiche da professionisti
dello zero virgola». È un modo certamente abile di mettere le cose, al
quale Bruxelles risponde con un imbarazzato «no comment», accompagnato
però dalla specifica per cui la procedura contro l’Italia riguarda la
registrazione dei migranti, non il loro salvataggio in mare.
Nello
stesso momento, il governo italiano rilancia ulteriormente. Se le cose
stanno così, il ministero dell’economia fa sapere, sia pur in forma
anonima, che lo scomputo dei fondi per la Turchia dal Patto di stabilità
non basta. Tutti e tre i miliardi devono essere presi dal bilancio
dell’Unione, non uno solo addossando agli Stati i rimanenti due, e deve
essere accertato come Erdogan intende usare quei soldi.
Come a
Berlino, è di nuovo una partita a tre, ma stavolta la convitata di
pietra è Angela Merkel. È per lei che l’immediato sblocco di quei fondi è
questione vitale, ed è a lei, ancor più che a Jean-Claude Juncker, che
Renzi lancia un messaggio preciso, come aveva già fatto da Berlino:
nello scontro durissimo che si sta preparando tra governo italiano e
Commissione europea, la Germania deve scegliere da che parte stare. E se
qualcuno trova strano che a lanciare una simile sfida sia il premier di
uno dei Paesi deboli, è segno che non ha capito come è fatto Renzi.