il manifesto 2.2.16
“Likudiada”, partito del premier riunito per dire no alla Palestina
Israele/Territori
occupati. Ministri, deputati e rappresentanti dei coloni a Eilat hanno
tenuto finte primarie e, più di tutto, ribadito l'opposizione a uno
Stato palestinese. Intanto l'Esercito "chiude" Ramallah, la capitale
dell'Anp di Abu Mazen. Ucciso un altro palestinese. Avrebbe tentato di
entrare in una colonia armato di un coltello
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Mentre l’altro giorno il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon,
sulle pagine del New York Times, ribadiva che i palestinesi hanno
diritto a vedere realizzate le loro aspirazioni e respingeva ancora una
volta l’accusa rivoltagli da Benyamin Netanyahu di giustificare la
violenza, nel clima già primaverile di Eilat sul Mar Rosso era in corso
la “Likudiada”. Decine di membri del Likud — il partito israeliano di
maggioranza relativa guidato dal primo ministro — tra i quali ministri,
deputati, attivisti, iscritti e, naturalmente, rappresentanti dei
coloni, si sono riuniti per tenere delle finte primarie e, più di tutto,
per ribadire il “no” alla nascita dello Stato di Palestina. La
“Likudiada” non è stata una vacanza fuori stagione nella principale
località turistica di Israele mascherata con un evento politico senza
importanza. Tutt’altro. A Eilat si è riunita, in un clima da lavoro,
quella parte del Likud, stretta alleata dei nazionalisti religiosi di
Casa Ebraica e del movimento dei coloni, che ai palestinesi non vuole
restituire un bel nulla. Una parte sempre più forte che respinge persino
l’idea dello staterello palestinese (senza sovranità reale) alla quale
si aggrappano Unione europea e Stati Uniti, e che pensa sia giunta l’ora
di annettere a Israele la Cisgiordania o gran parte di essa. Tra i
presenti alla “Likudiada” i ministri dell’immigrazione Zeev Elkin, del
turismo Yariv Levin, della cultura Miri Regev, dei trasporti Haim Katz e
anche lo speaker della Knesset Yuli Edelstein.
Il rifiuto di
qualsiasi idea di restituzione territoriale ai palestinesi ormai trova
consensi sempre più vasti nel Likud e non solo tra la destra religiosa.
Lo confermano peraltro le promesse fatte da Netanyahu lo scorso marzo in
campagna elettorale quando si proclamò apertamente contro lo Stato di
Palestina. E la parte più militante dei coloni israeliani, già forte del
sostegno aperto degli ultranazionalisti di Casa Ebraica, ora cerca di
persuadere il Likud a passare il Rubicone. Ad Eilat perciò non poteva
mancare Nadia Matar, leader delle “Donne in Verde”, una storica
formazione di colone israeliane che dalla firma degli Accordi di Oslo
(1993) si batte contro qualsiasi ipotesi di restituzione ai palestinesi
anche soltanto di piccole porzioni di «Eretz Israel», la biblica Terra
di Israele, e attacca con forza le posizioni europee, americane e delle
Nazioni Unite a favore dei “Due Stati”. Nadia Matar alla “Likudiada” è
andata a chiedere di fare di più e subito. «Non basta proclamarsi contro
uno Stato palestinese, occorre andare verso la proclamazione della
piena sovranità israeliana su Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr),
perché tutta Eretz Yisrael ci appartiene», ha detto Matar raccogliendo
applausi e consensi. La leader delle “Donne in Verde” e promotrice di
“Iniziativa Sovranità”, come è chiamata la campagna per annettere subito
la Cisgiordania a Israele, sa che ci saranno «resistenze». Tuttavia, ha
spiegato, «è preferibile fare i conti con grandi difficoltà e problemi
che suicidarsi accettando la nascita di uno Stato palestinese».
Ban
Ki-moon sul New York Times si è affannato a spiegare che la perdita di
ogni speranza da parte dei palestinesi di fronte alle politiche di
Israele non può che generare una reazione contro l’occupazione. Da parte
loro le autorità israeliane ieri hanno dato una dimostrazione della
soluzione alla quale, evidentemente, pensano per la questione
palestinese. Grazie proprio agli Accordi di Oslo che hanno suddiviso la
Cisgiordania in tre aree distinte – A, B e C — l’esercito israeliano ha
chiuso ogni accesso a Ramallah, “capitale” dell’Anp di Abu Mazen, e
ristretto i movimenti dei civili palestinesi in tutto quel distretto. È
la prima volta che avviene da diversi anni a questa parte e il
provvedimento ricorda l’imposizione, frequente durante la prima Intifada
(1987–93), di “aree militari chiuse” per isolare i centri abitati
palestinesi in rivolta. La mossa, secondo il portavoce militare, si basa
su «ragioni operative». In realtà è una ritorsione per l’attacco
compiuto domenica da un agente della polizia palestinese, Amjad Sukkari,
contro soldati israeliani al posto di blocco nei pressi della colonia
di Bet El. Ai funerali di Sukkari ieri a Nablus hanno partecipato
migliaia di persone, tra le quali centinaia di poliziotti. Ieri un
giovane di 17 anni, Ahmad Tuba, è stato ucciso vicino la colonia
israeliana di Salit (Tulkarem). Secondo la versione israeliana avrebbe
tentato di entrare nell’insediamento con un coltello per compiervi un
attacco. Per i palestinesi invece non era armato e stava scavalcando la
rete per cercare un lavoro a giornata. Dallo scorso ottobre almeno 165
palestinesi sono stati ammazzati per tentati attacchi e durante
manifestazioni. Gli israeliani uccisi nello stesso periodo sono almeno
25.