il manifesto 28.2.16
«Sulla questione kurda Erdogan vuole silenzio»
Giornalisti
 incarcerati o uccisi, emittenti tv e giornali chiusi. «Ma nonostante la
 repressione e il sostegno allo Stato Islamico, Ankara ha fallito contro
 Rojava», spiega Irfan Aktan, editorialista kurdo dell’agenzia 
al-Monitor
intervista di Chiara Cruciati
Il 
rilascio dei giornalisti Dundar e Gul, direttore e caporedattore di 
Cumhuriyet, ordinata giovedì dalla Corte Costituzionale turca, segna un 
importante passo in avanti per la libertà di stampa in Turchia e, 
contemporaneamente una sconfitta per le politiche mediorientali del 
presidente Erdogan, a partire dalla strategia di escalation militare in 
Siria. Ma gli attacchi contro la stampa non cessano: nel mirino resta 
soprattutto l’informazione indipendente pro-kurda, spiega al manifesto 
Irfan Aktan, editorialista kurdo per al-Monitor.
Con la scarcerazione di Dundar e Gul si è aperta una breccia nel muro della repressione interna?
Dundar
 e Gul sono stati rilasciati, ma ci sono ancora 31 giornalisti dietro le
 sbarre e 20 di loro sono kurdi. E poche ore dopo il rilascio l’ufficio 
del procuratore ha chiesto alla Turksat, la compagnia statale di 
telecomunicazioni, di interrompere la messa in onda del canale pro-kurdo
 Imc-Tv. Inoltre il caporedattore di un quotidiano pro-kurdo, Azadiya 
Welat, è stato ucciso insieme ad altri civili nella città sud-orientale 
di Cizre durante scontri tra combattenti kurdi e forze armate turche. 
Per questo temo che la Turchia stia cercando di far calare la pressione 
rilasciando Dundar e Gul per poter aumentare la repressione contro la 
stampa kurda. Sebbene la loro scarcerazione sia un passo importante per 
la libertà di stampa in Turchia, potrebbe anche essere frutto di una 
decisione calcolata.
Come viene percepita dall’opinione pubblica turca la campagna anti-kurda in atto nel paese e fuori?
L’opinione
 pubblica turca èspaccata. Una parte condivide la politica islamista e 
nazionalista dell’Akp e non si oppone ai bombardamenti contro le Ypg in 
Siria. C’è però una parte che, seppur conservatrice e vicina al partito 
di Erdogan, non è convinta di un tale livello di aggressività sia contro
 Rojava che contro il sud-est turco. Infine c’è quella sezione di 
pubblico (che è o di origine kurda o che si oppone per ragioni politiche
 e ideologiche all’Akp) fortemente contraria. È molto probabile che i 
kurdi turchi reagiranno ad un eventuale intervento di Ankara in Rojava, 
così come reagirono nel 2014 quando lo Stato Islamico attaccò Kobane e 
la Turchia rimase a guardare: nella sollevazione kurda che seguì 
all’assedio di Kobane oltre 50 civili furono uccisi. E anche stavolta le
 conseguenze potrebbero essere terribili.
Oggi una campagna 
militare in Siria è già in corso: l’artiglieria turca sta bombardando le
 postazioni kurde ad Azaz. Un intervento di terra è immaginabile?
Nonostante
 le posizioni di Russia e Stati Uniti, l’Akp ha fatto capire che non 
cambierà la sua attuale politica siriana. Ma, avendo il solo sostegno 
dell’Arabia Saudita, dovrà pagare un prezzo alto. L’intervento militare 
in Siria complicherebbe il conflitto, avrebbe effetti devastati perché è
 ovvio che non solo la popolazione kurda non accetterebbe un intervento,
 ma avrebbe contro anche la coalizione occidentale, la Russia e l’Iran. 
Provocherebbe una reazione interna alla stessa Turchia e non penso che 
il governo voglia assumersi questo rischio. Senza un segnale positivo di
 Usa e Russia, Erdogan non oserà muoversi.
Quindi Ankara agisce da sola, senza l’avallo degli Stati Uniti e della Nato?
Non
 ci sono indicazioni che la mano della Nato muova la politica turca 
contro i kurdi siriani. Al contrario, è Ankara che sfrutta 
l’appartenenza alla Nato per dare vita ad una coalizione che sia anche 
anti-kurda. Ma non sta ottenendo l’appoggio che sperava. Se si guarda 
alle politiche interne dell’Akp, è ovvio vedere come l’approccio 
anti-kurdo sia il risultato delle radici nazionalistiche e islamiste del
 partito. L’Akp non tollera il movimento kurdo perché di sinistra, 
laico, volto all’autonomia territoriale. Questi caratteri, tipici di Pkk
 e Pyd, contraddicono i piani di Erdogan che punta ad implementare le 
sue politiche nazionalistiche e turco-centriche sia nel paese che in 
Medio Oriente.
E per farlo non esita a sostenere anche lo Stato 
Islamico, come dimostrato da molti giornalisti e attivisti kurdi ma 
anche dagli stessi Dundar e Gul.
Qualche anno fa il presidente ha 
provato a realizzare il suo progetto nazionalista con il “sostegno” 
kurdo, ovvero sfruttando a proprio favore il negoziato del 2013 con il 
Pkk L’obiettivo era stravolgere i progetti di autonomia kurdi e 
assorbirli nei piani del governo. Aveva invitato all’epoca anche il Pyd 
per persuaderlo del progetto. Tuttavia il movimento kurdo ha resistito e
 non ha voluto abbandonare la propria strategia laica e di auto-governo.
 L’Akp ha puntato allora sullo Stato Islamico sperando che schiacciasse i
 kurdi e li costringesse, per salvarsi, a rivolgersi alla Turchia. Non è
 successo e Ankara ha cominciato a colpire direttamente Rojava.