il manifesto 25.2.16
C’è un giudice a Messina (ed è solo il primo)
di Felice Besostri
Intanto
 abbiamo segnato l’1 a 0, ma possiamo puntare a un risultato finale di 
14 a 0. Confidiamo cioè che tutti i quattordici motivi di 
incostituzionalità della legge elettorale possano essere oggetto di 
ordinanza alla Corte Costituzionale. Dove ci sono minoranze linguistiche
 consistenti c’è un motivo in più dei tredici di Messina. La legge 
elettorale privilegia le minoranze filogovernative, quella tedesca 
dell’Alto Adige e la francese della Valle d’Aosta, malgrado che si 
chiami Italicum.
In quelle Regioni (ne beneficia anche 
l’italianissima Trento) si eleggono i deputati in collegi uninominali al
 primo turno, e poi al secondo si decide come devono essere governati 
gli altri 60 milioni di italiani. È già successo nel 2013, quando lo 
0,40% della SVP attribuì la vittoria alla camera alla coalizione Italia 
Bene Comune.
Grazie all’abnegazione di colleghi come Vincenzo 
Palumbo è stato possibile presentare ricorsi simili in 18 tribunali e 
altri sette sono in cantiere: qui non c’era spazio per mugnai tedeschi 
che erano sicuri di trovare un giudice a Berlino, anche contro il 
Kaiser. Non si poteva rischiare di aspettare sei anni una Cassazione che
 mandasse la legge alla Consulta. Legge elettorale maggioritaria e 
revisione costituzionale, pilotata dal governo, creano una miscela 
pericolosa per la democrazia nel nostro paese. L’informazione è a senso 
unico e le televisioni, tutte, a differenza dei giornali, non hanno 
chiesto notizia al gruppo di avvocati antitalikum o al Coordinamento per
 la Democrazia Costituzionale nel cui ambito è stato creato.
Nell’ordinanza
 del Tribunale di Messina si parla di vulnus al principio di 
rappresentanza territoriale. I deputati da eleggere con l’abnorme premio
 di maggioranza del 54% dei seggi sono distribuiti sul territorio 
nazionale da un algoritmo e non dalle scelte degli elettori. Il premio 
di maggioranza non risponde ai principi della rappresentanza 
democratica. Il premio è uguale per la lista che al primo turno superi 
il 40% dei voti validi e quella che vinca il ballottaggio, cui è stata 
ammessa senza una soglia minima in percentuale di voti al primo turno. 
Con i capilista ad elezione assicurata, anche con un solo eletto, non è 
assicurata una scelta libera e diretta dei deputati. Il tribunale ha poi
 rimesso alla Corte Costituzionale un ultimo residuo del Porcellum, le 
soglie di accesso al senato, pari all’8% per le liste e al 20% per le 
coalizioni. Infine ha ritenuto irragionevole che a costituzione 
invariata si fosse licenziata una legge elettorale per la sola camera 
dei deputati.
Le prime reazioni sono rabbiose. Alfano minaccia un 
referendum costituzionale insieme con le amministrative del 12 giugno, 
dopo che avevano negato l’abbinamento con il No-Triv. Per vincere il 
referendum hanno bisogno che non ci sia informazione dei cittadini. 
Arrivare a ottobre potrebbe cambiare gli umori dell’opinione pubblica. 
Dopo aver ottenuto il consenso dei deputati e senatori nominati con la 
promessa di elezioni nel 2018, ora vorranno votare prima che si pronunci
 la Corte Costituzionale: un golpe bianco.