Il Sole 25.2.16
Unioni, voto di fiducia e bilanci
Dal dietrofront di Renzi ai passi indietro di Grillo e Alfano
di Lina Palmerini
Il
 voto di fiducia sulle unioni civili chiude una vicenda parlamentare 
faticosa e piena di inciampi che consegna un bilancio politico ai vari 
protagonisti. A Renzi che per la prima volta ha fatto marcia indietro, 
ad Alfano e a Grillo che dopo family day e sondaggi hanno rivisto le 
posizioni iniziali e ai cattolici di tutti i partiti.
Salvo 
incidenti, con il voto di fiducia di oggi andrà in porto una legge 
attesa da anni, che aveva relegato l’Italia nella classifica dei 
peggiori in tema di diritti civili, che era nel programma del Pd da 
altrettanti anni senza che - con il centro-sinistra al Governo - si 
fosse mai riuscito ad approvarla. Questo è un aspetto e va messo 
certamente nella colonna degli attivi anche se è costato il prezzo di 
alcune rinunce come l’adozione del figliastro, su cui i numeri erano più
 che a rischio. L’altro aspetto è quello più strettamente politico di 
chi ha vinto e di chi ha perso. E qui tutti i protagonisti hanno pagato 
un prezzo.
Per Matteo Renzi questa è la prima volta che innesta la
 marcia indietro in modo molto evidente. Aveva detto che il Governo non 
sarebbe entrato in partita, aveva detto pure no allo stralcio sulle 
adozioni ma dopo il voltafaccia dei 5 Stelle anche lui si è accorto che 
la sua strategia stava prendendo un muro. E che conveniva tornare a 
quello che era il piano A, ossia il Governo in campo e l’accordo dentro 
la maggioranza con il partito di Alfano. Dunque, dietrofront. Un gesto 
che non c’era stato neppure sull’Italicum quando non fece la mediazione e
 pose la fiducia che gli costò una divisione cruenta nel Pd con una 
trentina di deputati, tra cui Bersani, che votarono no. Ma questa volta 
al premier è toccato il Senato – non la Camera - che vuol dire numeri 
risicati e obbligo di venire a più miti consigli. E anche di accettare i
 voti di Verdini che sarà la novità politica di oggi e si vedrà con 
quali effetti collaterali.
Quello di Renzi non è stato l’unico 
passo indietro. Anche Alfano e Grillo hanno fatto un’inversione – o una 
conversione - rispetto le posizioni iniziali. Lo spartiacque, come 
ricorda Giorgio Tonini presidente Pd della commissione Bilancio al 
Senato, è stato il family day – ma anche i sondaggi - che hanno 
risistemato come in una battaglia navale alcuni schieramenti. Una piazza
 cattolica molto esigente ha chiesto ai politici di stare contro la 
legge o contro Renzi, ha perfino promosso un “controllo” stretto sui 
voti dei parlamentari spingendo nell’angolo Ncd che nel Governo ci vuole
 stare. E che dopo ha riaperto i ponti con il Pd fino ad arrivare 
all’accordo di ieri e al voto di fiducia di oggi. Alfano perderà il voto
 di alcuni senatori, come Maurizio Sacconi, strappa la bandiera delle 
adozioni ma torna indietro sulle unioni civili che questa volta il Pd fa
 con il centro-destra quando non era riuscito a farle con il 
centro-sinistra.
Dopo il family day, sono arrivati anche i 
sondaggi ed è arrivata la “conversione” dei 5 Stelle. Solo qualche ora 
prima il Movimento aveva posto l’aut-aut al Pd: il Ddl Cirinnà non si 
tocca o non lo votiamo. Tempo un giorno e Grillo spiazza tutti con la 
libertà di coscienza sulle adozioni. A quel punto i numeri non erano più
 sicuri e i giochi sono cambiati. Una svolta che il Pd non ha colto 
subito, anzi, nel partito di Renzi si sono intestarditi con il canguro. 
Altro errore e riflessi lenti. Ma nel bilancio di questa vicenda va 
messo che i grillini ora non potranno intestarsi la legge né prendere la
 bandiera delle adozioni su cui hanno fatto marcia indietro. Finisce 
pure ogni tentazione di alleanze parlamentari con loro.
Infine i 
politici cattolici, perché questa legge li ha messi di fronte al 
cambiamento della Chiesa. Che non è più quella degli estremisti né di 
chi invade la sfera parlamentare – come il cardinale Bagnasco che aveva 
perfino chiesto il voto segreto – ma è quella di Papa Francesco che dice
 “non mi immischio nella politica italiana”. La visione della Cei di 
Galantino, più accogliente e realista, che a sua volta aveva riflettuto 
su quel “no” ai Dico del 2007.