il manifesto 23.2.16
Giulio Regeni non è un crimine isolato
Egitto.
L’omicidio di Giulio Regeni è parte di una sistematica campagna tesa a
chiudere lo spazio pubblico in Egitto. In una sola stazione di polizia
al Cairo i gruppi per i diritti umani hanno documentato 14 casi di morte
dopo tortura negli ultimi due anni, con 8 persone assassinate nel 2015.
Anche il crimine di sparizione forzata è diventato frequente: le
organizzazioni per i diritti che documentano questi casi stimano si sia
arrivati a una media di circa tre casi al giorno
a cura dell'Arci
Le
impressionanti notizie sulle torture e l’omicidio del ricercatore
universitario italiano Giulio Regeni hanno prodotto un’inedita
attenzione su alcune delle più grandi violazioni dei diritti commesse in
Egitto contro cittadini e cittadine egiziani.
Tra i commenti
espressi in Egitto sul caso Regeni, uno è particolarmente significativo:
«Giulio era come noi, ed è stato ucciso come noi».
Un altro
cittadino europeo, Ibrahim Halawa, che è stato imprigionato in Egitto
nell’agosto del 2013 ed è stato vittima di maltrattamenti, ha
testimoniato a una organizzazione non governativa per i diritti umani
che «alcuni prigionieri erano costretti nudi in una posizione crocifissa
nel corridoio della prigione, e altri sono stati sottoposti a scariche
di elettricità — venivano usate vasche di acqua per aumentare il
dolore».
Lettere e testimonianze
In una lettera spedita alla
sua famiglia ha scritto: «Questo è un luogo dove si sperimentano
torture.… Le parole non riusciranno mai a rendere giustizia di quello
che succede nelle carceri egiziane».
Autorevoli organizzazioni
sociali per i diritti umani hanno confermato innumerevoli casi di
detenuti sottoposti a torture, a maltrattamenti e ad abusi sessuali,
come descritto da Halava. Ciò avviene per estorcere confessioni e
informazioni, ma anche nel contesto di pratiche punitive sistematiche,
rivolte non solo contro i prigionieri politici ma anche contro ogni
sorta di detenuti. Secondo un comunicato congiunto di quindici gruppi
egiziani per i diritti umani, nel corso del solo novembre 2015 sono
stati registrati 49 casi di tortura, inclusi 9 casi di morte durante la
detenzione. In una sola stazione di polizia nel distretto Matareya del
Cairo i gruppi per i diritti umani hanno documentato 14 casi di morte in
conseguenza di tortura negli ultimi due anni, con 8 persone assassinate
solo nel 2015.
Nel 2015, anche il crimine di sparizione forzata è
diventato frequente in modo allarmante. Le organizzazioni per i diritti
che documentano questi casi stimano si sia arrivati a una media di
circa tre casi al giorno, e sottolineano il coinvolgimento di parecchie
forze di sicurezza e dei servizi.
Nonostante questa realtà
impressionante, l’Egitto non ha messo in opera nessuna delle
raccomandazioni relative alla tortura che ha ricevuto durante la sua
Revisione Periodica Universale nel novembre 2014. Queste raccomandazioni
sono state presentate da Francia, Slovenia, Svizzera, Danimarca,
Spagna, Botswana, Palestina e Gaza. Ancor più preoccupante, l’Egitto ha
respinto tutte le raccomandazioni presentate in relazione alle
sparizioni forzate.
L’impunità degli aguzzini
Tali pratiche,
così come la quasi totale impunità dei corpi di sicurezza e del
Ministero degli Interni, stanno ulteriormente minando la legalità in
Egitto, già erosa a un grado mai raggiunto così come descritto dal capo
del Comitato denunce al para-governativo Consiglio Nazionale dei Diritti
umani.
Dal 2011, nessuno dei governi egiziani ha provato
seriamente a realizzare riforme del settore della sicurezza o a lottare
contro la sua cultura dell’ impunità. Al contrario, negli ultimi due
anni, la legittima lotta contro il terrorismo è stata usata come una
scusa per rafforzare questa cultura.
Il rafforzamento del
«prestigio» dello Stato — inteso come la sua capacità di instillare
paura- è considerato come la soluzione al terrorismo.
Sfortunatamente, il presidente Sisi non ha dimostrato una volontà politica chiara di voler porre termine a queste pratiche.
Nel
suo discorso del 3 dicembre alla Accademia di Polizia Egiziana, egli ha
negato che le sparizioni forzate e la tortura siano sistematici in
Egitto, e ha esplicitamente dichiarato che si tratta solo di casi
individuali. Questa dichiarazione differisce grandemente dai dati del
report del Dipartimento di Stato Usa sulle pratiche dei diritti umani,
il quale ha evidenziato più di 60.000 casi di arresti legati ad attività
politica in Egitto nel solo 2013.
Ancora, il presidente Sisi non
considera i diritti umani come una priorità: durante un’intervista
televisiva il 1 febbraio 2016 egli ha affermato che è difficile e molto
delicato conciliare diritti umani e sicurezza.
Oggi, mentre non
c’è modo di far rendere conto ai responsabili, il flagello della tortura
e delle sparizioni forzate sta aumentando l’instabilità perché nutre
l’emarginazione, la rabbia e la disperazione fra componenti chiave della
società egiziana. Rendendo la propria gioventù vulnerabile ai discorsi
radicali e all’estremismo violento, l’Egitto sta diventando un terreno
sempre più fertile per il terrorismo, per la crescita della violenza
politica e della guerra civile.
La tortura, le sparizioni forzate e
l’impunità per questi crimini sono attualmente fra le più gravi minacce
alla sicurezza nazionale egiziana — una minaccia che non possiamo
ignorare nella odierna situazione regionale. Nelle parole dell’ex
prigioniero statunitense Mohamad Soltan, che ha avuto esperienza di
abusi fisici durante la sua detenzione in Egitto, «la brutalità e la
schiacciante perdita di speranza sta creando una situazione che giova
alla narrativa dello Stato islamico, viene usata per reclutare persone e
circolare il loro messaggio».
Il presidente Sisi rifiuta di
ammettere che la stabilità e il rispetto dei diritti umani sono
sinonimi; il 5 novembre il sindacato egiziano dei medici ha minacciato
uno sciopero generale in tutti gli ospedali pubblici per protestare
contro l’inazione della Procura sulle sistematiche violazioni dei
funzionari di polizia contro il personale medico per ottenere
trattamenti preferenziali. E invece, la Procura egiziana ha aperto una
inchiesta sulla chiamata allo sciopero dei sindacati egiziani in quanto
illegale.
Il destino spaventoso di Giulio Regeni dovrebbe dare la
sveglia ai partners europei dell’Egitto. L’Europa, come l’Egitto, si
confronta con le minacce di estremismi violenti che vanno combattuti
senza violare i diritti dei cittadini; nessuno stato, nessun governo è
interamente senza colpa, ma ciò non li condanna al silenzio di fronte
alla caduta degli alleati in una spirale di violenza.
L’argomento della necessità non è più funzionale a giustificare un supporto acritico all’Egitto.
Il corpo di Islam Atito
Nel
maggio 2015, il direttore del Cairo Institute Bahey El Din Hassan si è
rivolto al Parlamento Europeo sul caso di uno studente egiziano il cui
destino è stato simile a quello di Giulio. Il corpo del giovane Islam
Atito è stato trovato in una zona desertica alla periferia del Cairo. Il
Ministero degli Interni ha dichiarato che Atito avrebbe aperto il fuoco
contro le forze di sicurezza e che sarebbe stato ucciso durante un
conflitto a fuoco.
E invece testimoni hanno collocato Islam nella
sua Università pochi giorni prima che il suo corpo fosse ritrovato,
quando fu scortato da un funzionario scolastico e da agenti di sicurezza
fuori dal campus, e mai più rivisto.
In risposta alla
dichiarazione di Hassan davanti al Parlamento Europeo, il Cairo
Institute è stato posto sotto inchiesta da un giudice.
Atito
avrebbe potuto essere l’ultima vittima di crimini tanto orrendi, se il
presidente egiziano fosse stato pubblicamente avvertito che gli alleati
dell’Egitto non avrebbero più tollerato sparizioni forzate e torture, e
se la Procura avesse aperto una inchiesta imparziale sul suo caso.
Sfortunatamente ciò non è stata considerata una priorità e dozzine di
altre persone, incluso Giulio, hanno condiviso il suo destino.
Nello
stesso mese, un’altra autorevole organizzazione per i diritti umani ha
lavorato a un progetto di legge per definire la tortura in accordo con
gli standard internazionali.
Il leader di questa organizzazione e i
giudici che egli aveva invitato a un simposio per discutere il progetto
di legge sono stati tutti posti sotto inchiesta e i giudici sono stati
sospesi. Chiediamo urgentemente ai leader europei di sottoporre queste
richieste alle autorità egiziane:
a) un cambio immediato della
politica su tortura e sparizioni forzate: la gravità e l’ampiezza della
crisi attuale dovrebbe essere pubblicamente riconosciuta, la
supervisione e l’assunzione di responsabilità di tutte le forze di
polizia e di sicurezza dovrebbe essere annunciata come urgente priorità.
b)
di invitare il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura e il
Gruppo di Lavoro sulle sparizioni forzate a visitare immediatamente
l’Egitto.
c) di concedere alle organizzazioni per i diritti,
egiziane e internazionali, il pieno accesso a tutti i luoghi di
detenzione e a poter visitare tutti i prigionieri in essi trattenuti.
Consentire al Consiglio Nazionale per i diritti umani di compiere visite
non annunciate in tutti questi luoghi, per assicurarsi che siano
consoni alle norme, alla legge e alle garanzie costituzionali.
d)
di investigare senza ritardi sulle denunce delle famiglie delle vittime
di sparizioni forzate, e comunicare i risultati in modo ufficiale alle
famiglie e ai collegi legali. Condurre investigazioni serie e
trasparenti su tutte le denunce di torture da parte della polizia e
delle forze di sicurezza; chiamare i colpevoli alle loro responsabilità
senza eccezioni.
e) di perseguire tutti i funzionari egiziani di
polizia direttamente coinvolti in pratiche criminali relative a pratiche
di tortura e sparizioni forzate.
f) di inserire il crimine di
sparizione forzata nella legge egiziana, e non renderlo soggetto a
nessuna prescrizione. Ratificare la Convenzione per la protezione di
tutte le persone dalle sparizioni forzate e il Protocollo opzionale
della Convenzione contro la Tortura.
g) sulla tortura, di fare i
necessari emendamenti al Codice Penale e al Codice di procedura penale
in modo che essi corrispondano all’articolo 52 della Costituzione, che
proibisce la tortura in tutte le forme e tipi.
Il Consiglio
Nazionale Arci all’unanimità ha impegnato tutta l’associazione al
massimo impegno per ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni e
tutte le vittime della repressione in Egitto. Nell’ambito di questa
campagna, vi inviamo un documentato report su torture e sparizioni
forzate in Egitto, con le richieste alle autorità italiane ed europee.
Il rapporto è scritto sulla base della documentazione raccolta da
associazioni egiziane dei diritti umani con le quali l’Arci collabora.
Per chi volesse relazionarsi direttamente con loro, siamo a disposizione
per fornirvi i contatti.